Disinformazione nell’era digitale
Quello della continua e lacerante disinformazione1 concernente i migranti, nell’ambito dei media nostrani (e non), è un fenomeno strettamente correlato alla conformazione della società nella quale viviamo. La nostra è infatti una società interamente costruita attorno alle reti di comunicazione e informazione di tipo digitale. Una società che non esitiamo a definire come “in rete”2 e dove, il più delle volte, l’opinione pubblica viene forgiata proprio a partire dalla consultazione quotidiana e quasi meccanica dei contenuti diffusi sui social media (tra questi non possiamo non citare le piattaforme digitali come Facebook, Twitter etc.), al di là poi dell’interesse suscitato da quelle testate giornalistiche la cui eticità è fin troppo spesso di dubbia natura3. Non deve dunque stupirci il fatto che già nel 2013 il World Economic Forum abbia designato la disinformazione come uno dei rischi di matrice tecnologica e geopolitica della nostra era4. Oggi, otto anni dopo, si ritiene ancora opportuno sottolineare quelli che sono i rischi di una disinformazione infima, ingiustificata e il cui fine tanto primario quanto inconcepibile è quello di colpire una categoria che è già fin troppo spesso martoriata: quella dei migranti. Questa necessità diviene ancora più impellente quando ci si rende conto che contemporaneamente alla diffusione dell’epidemia da Covid-19 che ha radicalmente cambiato le nostre vite, ridimensionando totalmente le nostre abitudini, si è venuta a creare un’altra epidemia, tanto incessante quanto sgradevole. Facciamo qui riferimento alla triste epidemia delle “bufale”5, riprendendo questa peculiare designazione da Facta, interessante progetto online di fact-checking che si occupa di scovare le numerose fake news che circolano indisturbate nello spazio del web, così da rispondere al crescente fenomeno della disinformazione. Alla base di questa epidemia si pongono, dunque, le notizie inventate ed i capri espiatori, componenti spesso irrinunciabili della cattiva informazione. Facta si concentra sul suolo italiano, riportando alla luce alcune notizie che circolarono sul web durante la pandemia e che forse ad oggi preferiremmo dimenticare, ma che è assolutamente necessario ricordare. Prima fra tutte, quella presentata tramite una card elaborata e diffusa dalla pagina Facebook ufficiale della Lega e facente riferimento ad alcuni “immigrati clandestini” (e qui non si può non notare l’accezione profondamente dispregiativa della definizione utilizzata) che a seguito di un naufragio nel Mediterraneo, avrebbero trascorso la quarantena a spese degli italiani su un traghetto con aria condizionata, ristorante, bar e cinema. Per amor del vero, Facta ha sottolineato che un gruppo di 180 migranti ha effettivamente trascorso la quarantena su di un traghetto Tirrenia, ma senza tutti i comfort sopracitati. Per maggiore chiarezza si aggiunge poi:
Niente bar, niente negozi, niente cinema e niente area giochi per bambini: la nave di proprietà della Tirrenia ospita solo i migranti – che non sono ancora definibili «irregolari», dal momento che il processo di identificazione avverrà dopo lo sbarco – e 22 operatori della Croce Rossa Italiana, che si occupano dello screening medico e della somministrazione di tre pasti al giorno, da consumare «chiusi ognuno in una cabina» ha spiegato ad Agi l’ammiraglio Roberto Isidori, direttore marittimo di Palermo.6
Altra notizia riportataci da questo sito, senza alcun dubbio di grande utilità nella lotta alle fake news, è quella diffusa il 9 aprile 2020 da Stopcensura.org. Il titolo dell’articolo a cui Facta si riferisce lascia poco spazio ad una mancata comprensione dell’intento con cui lo stesso nasce:
«Nel Casertano migranti assaltano uffici postali per il bonus da 600 euro»7.
Il fine dello stesso è, infatti, quello di suscitare indignazione, in primo luogo, per il fatto che dei migranti abbiano la possibilità di accesso al bonus che è stato istituito per i lavoratori autonomi, ed in secondo luogo per il fatto che la foto che fa da triste corredo all’articolo dimostra il mancato rispetto di qualsivoglia norma di distanziamento sociale. Una norma spesso percepita come oppressiva ed ingiustificata e che in questo caso appare impunemente violata. Ricordiamo poi che l’articolo di cui sopra è stato condiviso sulla pagina Facebook di Stopcensura; il che ci rimanda alla straordinaria rilevanza delle piattaforme digitali dei social media nell’ambito della diffusione della disinformazione in ogni sua forma e quindi anche in quella indiscutibilmente discriminatoria. Ben presto, dunque, tale post, accompagnato dalla sopracitata immagine di dubbia provenienza che mostra un gruppo di persone di colore di spalle o di profilo fuori da un edificio, ha iniziato a circolare su Whatsapp, ma anche su Twitter. È bene ricordare che tale notizia è priva di qualsiasi fondamento e, soprattutto, che l’immagine non riguarda in alcuna maniera la richiesta del bonus citato. Entrando più nei particolari:
L’immagine appare, ad esempio, anche in testa ad un articolo pubblicato dall’agenzia stampa Redattore Sociale il 7 gennaio 2020, ben prima dell’emergenza coronavirus. L’articolo di gennaio era focalizzato sugli effetti dei cambiamenti introdotti dal Decreto sicurezza del primo Governo Conte. L’autrice dell’articolo, da noi contattata, ci fa sapere che si tratta di una vecchia foto d’archivio.8
Con l’articolo individuato da Facta si vuole solo far breccia nei cuori spaventati degli utenti, di coloro che fruiscono quotidianamente dei vari materiali mediatici e che sono divenuti ormai insofferenti dinanzi ad una situazione sanitaria ed economica inaspettata e di difficile gestione. Il fine, in questo caso, è proprio quello di portarli a indirizzare la propria rabbia, il proprio sgomento, la propria infelicità nei confronti di coloro che hanno l’unica colpa di essere stati fotografati nel posto sbagliato al momento sbagliato ma, nella realtà, senza essersi recati nei pressi di quegli uffici con il fine che viene così malignamente citato. Perché di questo si tratta, di malignità. Una malignità ingiustificata e ingiustificabile che è volta a colpire il più debole, il migrante. Colui che in questo determinato assetto sociale e politico non ha alcuna possibilità di difesa per far fronte al giudizio della comunità ospitante e, molto spesso, tutt’altro che tollerante e inclusiva.
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