Il periodo che va dalla fine degli anni Venti all’inizio degli anni Trenta è per Wright uno dei peggiori. Alle scarse prospettive professionali, determinate da una vita disordinata ma anche dalla crisi economica del 1929, si assomma la consapevolezza di essere stato tagliato fuori dal dibattito, il sospetto di essere superato dalle nuove correnti architettoniche europee: da qui il progressivo abbandono dello stile oramai antiquato e dalle vaghe ascendenze Déco che aveva caratterizzato la produzione angelene di case in blocchetti di cemento armato, per un cauto avvicinamento al più attuale funzionalismo. Lo si vede, per esempio, nel progetto per le case ad appartamenti E.Noble a Los Angeles (1929) dove non pochi sono i riferimenti al linguaggio più evoluto degli ex discepoli Neutra e Schindler, messo a punto nei progetti per Mr. Lovell. O anche nel progetto per la casa sul fiume Mesa, a Denver (1931) con il quale parteciperà alla mostra del 1932 sull’ International Style organizzata al MoMA da Henry-Russel Hitchcock e Philip Johnson.
Sempre negli stessi anni Wright prefigura la propria città ideale: Brodoacre City (1931-35). La pensa come una città- territorio, sul modello angeleno, dove ogni abitante ha diritto ad una casa individuale e ad un pezzo di terra, un proprio spazio, evitando di addensare milioni di persone nelle metropoli-megalopoli, viste come origine di gran parte dei mali che affliggono la società contemporanea; e a questo fine cerca di sfruttare le potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazioni quali battelli, automobili ma anche futuristici elicotteri pensati per un uso individuale, per realizzare piccole comunità di circa 1400 famiglie disperse nel territorio, fondate sull’autogoverno, e, quindi, estranee alla burocrazia che contamina le moderne città industriali. La proposta e' antitetica a quelle elaborate in Europa negli stessi anni basate, invece, sulla concentrazione e sull’uso intensivo del suolo. E nonostante Brodoacre condivida con la coeva Ville Radieuse di Le Corbusier l’idea che la città debba scomparire per fare più posto al verde e alla natura, se ne differenzia per il suo carattere più radicale. Brodoacre, afferma Wright “sarà una città talmente diversa dalla città del passato e da qualsiasi città odierna che probabilmente non saremo in grado di riconoscerla in quanto città”.
A porre fine alle difficoltà finanziarie incontrate da Wright in questi anni – come abbiamo visto in un paragrafo precedente- contribuisce l’idea di rilanciare Taliesin come un centro di formazione aperto a giovani apprendisti, ampliandola per ospitare nuovi residenti (1932). Tra questi, uno in particolare, si rivelerà estremamente utile: il giovane Edgar Kauffmann. Figlio di un ricco commerciante di Pittsburgh, Kauffmann si darà da fare per far sponsorizzare al padre Brodoacre City e per fargli costruire su progetto del Maestro una dimora di vacanza in località Bear Run, creando così le condizioni per la realizzazione di uno dei massimi capolavori wrigthtiani: la Casa sulla cascata.
Edificata – e non senza difficoltà- negli anni tra il 1936 e il 1937 la Casa sulla cascata e', insieme, una risposta al funzionalismo dell’International Style e il suo superamento. Che sia una risposta al funzionalismo, forse allo schiaffo inferto a Wright dai curatori della mostra del MoMA del 1932 ( si ricordi in proposito la beffarda affermazione di Johnson che, volendolo mettere fuori gioco, relegandolo al ruolo di semplice precursore, lo bolla come il più grande architetto dell’ottocento), lo si vede da una radicale semplificazione delle forme architettoniche. Tutto e' chiaro, semplice, pulito, risolto geometricamente in un gioco dei piani, diversamente da opere precedenti dove invece predominavano i chiaroscuri ornamentali, i repentini passaggi dalle ombre alle luci, i giochi decorativi di ascendenza orientale o mesoamericana. Siamo però oltre il funzionalismo. Con la Casa sulla cascata, come e' stato da più parti notato, si celebra, infatti, l’unione tra la natura e formatività umana, dove e' la prima che fornisce all’architetto il pretesto con il quale operare, ma dove e' solo la seconda che, valorizzando e drammatizzando il dato empirico – nel caso:una piccola cascata, come tante- , lo trasforma nella dimostrazione di una possibile relazione, di un nuovo modo di intendere il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente cioè in architettura organica.
Schizzata in poche ore dopo una lunga elaborazione durata diversi mesi – Wright disegnava benissimo ma difficilmente lo faceva prima di avere in testa tutto il progetto- l’intera composizione e' giocata sul contrasto tra i leggeri piani aggettanti degli sbalzi intonacati e la struttura verticale in pietra. Il proposito e' di occupare lo spazio nelle sue direzioni e, a questo scopo provvedono sia le disposizioni dei piani, alcuni orientati in lunghezza e altri in profondità, sia i percorsi. Si osservino, per esempio, i cambiamenti dei punti di vista che Wright impone a chi entra dentro la Casa: il visitatore dapprima gode di una panoramica sul prospetto che ingloba la cascata, poi attraversa un ponticello dal quale vede la costruzione di scorcio e il torrente dall’alto, infine e' condotto dal percorso sul retro dove e' disposto l’ingresso. Entrato, sperimenta uno spazio compresso che termina con un muro cieco in mattoni, e appena giratosi sul lato sinistro – e cioè cambiando di nuovo direzione- intravede il salone con le sue vetrate che si aprono sul paesaggio e dal quale, finalmente, può osservare la natura che circonda l’abitazione. Si osservino, infine, le bucature, concepite come diaframmi attraverso i quali interno ed esterno entrano in relazione senza soluzioni di continuità: lo si vede dal modo in cui il vetro, quando si incontra con il muro, si inserisce semplicemente nella pietra senza essere riquadrato dall’infisso o dal modo in cui sono smaterializzati gli angoli, risolti con il semplice accostamento di due vetri al fine di impedire l’ interruzione dello sguardo provocato da un montante. Sguardo che, tuttavia e' sempre filtrato da un elemento artificiale che si trova oltre la finestra, per esempio il parapetto della terrazza, con il fine di mettere in relazione architettura e paesaggio circostante, impedendo una visione solo dell’una o dell’altra. Visione quindi dinamica e continuum spazio-temporale ma anche contiguità tra edificio e natura in un processo in cui si artificializza la natura e si naturalizza l’artificiale, con la conseguente fine dell’ International Style, che contrappone i due termini, separando la costruzione, vista in termini idealizzati, dal contesto.
Sempre nel 1936 si offre a Wright la possibilità di realizzare un altro capolavoro: il complesso di uffici dell’Amministrazione Johnson Wax a Racine (1936-39). L’edificio, all’esterno, e' caratterizzato da masse plastiche rese dinamiche dallo smussamento degli angoli e dai raccordi curvi; all’interno da pilastri dendriformi che sostengono un soffitto trasparente ottenuto dall’accostamento di tubi di vetro pirex. Vetro pirex che e' anche adoperato per le “finestre in lunghezza” poste in alto, la zona di congiunzione tra il muro e i solai “ proprio – nota Zevi- nel punto in cui tradizionalmente si appesantisce mediante il cornicione”.
Così come la Casa sulla cascata mostra allo stupefatto pubblico americano che e' possibile vivere in modo diverso da quello a cui la metropoli ci ha abituati, gli uffici della Johnson Wax dimostrano, a trent’anni di distanza dalla realizzazione del Larkin Building, che e' anche possibile lavorare in modo diverso: in spazi che sono separati dal mondo circostante , introversi per ragioni funzionali ma, allo stesso tempo, tanto affascinanti da produrre un paesaggio artificiale non privo di suggestioni naturalistiche, suggerito dalle colonne che ricordano gli alberi di una foresta e dalla luce proveniente dall’alto.
La Casa sulla cascata e il Johnson Wax building, come ha notato il critico Frampton, “avrebbero senza dubbio trovato il loro luogo designato in Brodoacre City”. Wright tuttavia in questi anni e' occupato anche a pensare a come realizzare costruzioni a costi più contenuti in grado di diventare modelli abitativi per la sua città ideale. Il pretesto per affrontare l’argomento glielo fornisce la commissione della casa Jacobs presso Madison (1936-37). Nascono le Usonian, una variante delle Prarie, cioè abitazioni che, come si ricorderà, avevano caratterizzato la produzione dell’architetto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Le Usonian si differenziano dalle Prarie per una loro maggiore modernità. Hanno, di regola, spazi più piccoli, un più integrato rapporto tra la cucina e il soggiorno per tener conto della minore disponibilità di aiuto domestico, sono ancora più strettamente legate al terreno dal quale sono separate solo da un gradino, non hanno tetti a padiglione ma piani. Wright, durante il corso degli anni, ne progetterà numerose. Alcune saranno pensate per essere autocostruite con il minimo delle risorse finanziarie. Altre saranno più costose, altre, infine, come per esempio la casa per Mr H.F. Johnson (1937) lussuose. Nelle Usonian Wright sperimenterà i più diversi materiali da costruzione: naturali e artificiali, Costruire nella natura dei materiali non vuole, infatti, dire utilizzare solo materiali naturali quali li legno, il mattone o la pietra, ma usarli tutti e ciascuno in modo appropriato. Da qui l’impiego in alcune Usonian del cemento – riprendendo le sperimentazioni dei blocchetti usati nelle case del periodo angeleno- e ,più tardi, delle materie plastiche. Diverse e numerose anche le matrici formali. Fondate su moduli quadrati, rettangolari, romboidali, esagonali, circolari, mostrano una creatività senza uguali.
Nel 1937, rinato a nuova vita e uscito definitivamente dal tunnel della crisi, grazie all’enorme notorietà che gli procura la pubblicazione della Casa sulla cascata, il settantunenne Wright deciderà di costruire una Taliesin a Scottsdale (1937-38). Servirà a istituzionalizzare gli spostamenti dal Wisconsin per svernare in Arizona durante i periodi più freddi. Sarà un pretesto per realizzare un ennesimo capolavoro: un complesso dalle forme insieme futuristiche – si osservi il modo in cui sono trattate le coperture- e arcaiche perché legate alla pietra e ai colori locali.
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