3.6 Möbius House
Da un punto di vista formale, come afferma Riley nella introduzione al catalogo, due tendenze si fronteggiano: una punta sulle forme bloboidali; l’altra sulle prismatiche. Se volessimo dividere in due gli schieramenti potremmo collocare da un lato Peter Eisenman, van Berkel & Bos, Greg Lynn, Stephen Perrella, Foreign Office Architects; dall’altro Rem Koolhaas, Toyo Ito, Waro Kishy, Kazuyo Sejima, Bernard Tschumi, Shigeru Ban. I primi lavorano su superfici plastiche gestendo forme strutturalmente ambigue dove è difficile individuare il dentro dal fuori, il sopra dal sotto, il volume dalla superficie e dove sono privilegiate le interconnessioni piuttosto che le chiare distinzioni spaziali. L’architettura è per loro una pelle continua, avvolgente, sensibile, che eventualmente può essere resa intelligente attraverso sensori elettronici. E può -pensiamo alle case sperimentali di Greg Lynn- essere prodotta industrialmente variandone la forma in relazione ai desideri degli acquirenti. Esattamente nel modo in cui oggi un paio di scarpe Nike è realizzato su misura attraverso un processo interattivo di scelta.
La seconda tendenza si muove all'interno della scatola e non e' estranea alle tendenze neo-moderniste e minimaliste, magari riviste attraverso la sperimentazione di nuovi materiali da costruzione.
Appartiene alla prima tendenza la Möbius House (1993-1998) realizzata da van Berkel &Bos (UN-Studio). Ne abbiamo già accennato nel capitolo precedente: è una residenza nei dintorni di Amsterdam, disegnata per una coppia di professionisti che la utilizzano anche come sede della loro attività lavorativa.
Puntuali le loro richieste. Innanzitutto di inserimento nell'ambiente naturale, di eccezionale valore soprattutto in considerazione della vicinanza di un bosco e di un corso d'acqua.
Realizzare, poi, una costruzione con un nucleo abitativo tradizionale composto da spazi di soggiorno e camere da letto; due uffici separati tra di loro, uno per ciascun componente della coppia; un appartamento per ospiti autosufficiente e indipendente; un garage per due automobili.
Prevedere, infine, spazi a sufficienza per ospitare la collezione di opere d'arte, in prevalenza quadri del gruppo CoBrA.
Il metodo di lavoro che Bern van Berkel e Caroline Bos adottano per dare forma alle richieste del committente è stato da loro già messo a punto in numerosi progetti precedenti e teorizzato, a partire da considerazioni tratte dalle riflessioni di Gilles Deleuze sulle Abstract Machines. Consiste nel rifiutare a priori modelli o tipologie consolidate dalla tradizione. Viene, invece, organizzato un diagramma piuttosto complesso delle funzioni e delle interrelazioni richieste, e sulle base di questo approntata una forma ad hoc, di alto valore metaforico, tale da rappresentare nello spazio proprio la particolarità del problema analizzato. In questo caso è la Möbius strip - cioè un nastro piegato a forma di 8, che é insieme volume chiuso e superficie aperta, interno e esterno, oggetto delimitato e insieme di luoghi che quasi si inseguono tra loro- che rende con l'immediatezza della propria immagine la volontà di interrelazione tra spazio domestico e ambiente naturale, il desiderio di autonomia della coppia e ordina il flusso delle funzioni che si susseguono all'interno dell'abitazione nel corso delle 24 ore.
La Möbius house provoca un immediato interesse. Bart Lootsma su Domus 44apprezza il metodo di van Berkel & Bos a tal punto da contrapporlo a quello di Koolhaas: quello diagrammatico dei primi consentirebbe di mettere in luce le peculiarità di ogni singolo caso mentre l'approccio tipologico del secondo porterebbe inevitabilmente alla costituzione di oggetti seriali. E L' Architecture d 'Aujourd'hui ne illustra i presupposti concettuali in un lungo articolo di Axel Sowa: segno che il metodo diagrammatico viene visto con crescente interesse anche da personaggi che si muovono in aree culturali diverse da quella olandese.
Occorre però osservare che nonostante la novità del ricorso a una geometria complessa quale il nastro di Möbius, in realtà UN-Studio semplifica il disegno curvo e continuo per un disegno spigoloso che si discosta dalla logica delle hypersuperfici, mentre molto ricorda le forme frammentate del decostruttivismo. Connie Van Cleef sull’Architectural Review , cogliendo questa contraddizione, esprime le sue perplessità: "Although the interlocking edges of the Möbius strip suggest the formal organization of the building, the mathematical model is not literally transferred to the architecture. The angular, jutting geometries bear little physical resemblance to the smooth Möbius curves …. Its complex, fragmented form has more in common with an inhabitable sculpture or Expressionist film set and its stark materiality and spatial perversions do not conform to conventional notions of gentle, informal domesticity"45.
Di parere diverso Joseph Giovannini: la casa è un'architettura di grande intensità poetica: " Van Berkel & Bos simultaneously creates complexity and difference within a unifying gesture". Continua il critico: "The firm is thus taking a philosophical stand at the edge of current theoretical debates: The world is complex, yes, and perhaps even beyond comprehension, but there is an underlying order"46.
3.7 A Dutchness in the State of Architecture
Nel 1998 si svolge all’Architectural Association un simposio. Il titolo “Is there a Dutchness in the State of Architecture?” e' emblematico del crescente interesse per quello che oramai viene definito il fenomeno olandese. Un fenomeno stimolato da una congiuntura economica particolarmente favorevole e, insieme, dalla volontà politica di valorizzare talenti, creatività ed energie giovanili. E che già rispetto al 1996, quando era stato preannunciato dalla rivista l’ Architecture d’Aujourd’hui, può vantare un certo numero di realizzazioni di qualità che esercitano un notevole influsso sul dibattito architettonico. Tra queste, solo per citarne alcune, la Möbius House disegnata da van Berkel & Bos di cui abbiamo appena parlato, il Minnaert Building a Utrecht, Olanda (1994-1998) di Niutelings Riedijk Architecten, la Delft Polytecnic Library a Delft , Olanda (1993-1998) di Mecanoo, la Police Station a Boxtel , Olanda (1994-1997) di Wiel Arets, i WOZOCO’s apartaments for Elderly People ad Amsterdam (1994-1997) e Villa VPRO a Hilversum, Olanda (1993-1997) di MVRDV. Per Bart Lootsma, il successo olandese risiede nella capacità di muoversi in sintonia con quella seconda modernità47, che caratterizza l’organizzazione del mondo nell’epoca della globalizzazione. Ciò comporta da un lato l’abbandono del mito romantico dell’architetto genio che vuole controllare il processo dal primo schizzo all’ultimo dettaglio, e dall’altro l’approntamento di strumenti flessibili che consentono di dare una risposta soddisfacente alle numerose richieste dei soggetti coinvolti in un’opera edilizia: dal politico al costruttore, dal committente al fruitore.
La forma, seguendo il precedente di Koolhaas, non e' mai il presupposto, ma un prodotto finale che trova giustificazione solo a partire da un ragionamento logico – paradossale quanto si vuole- che l’ha sostanziato. Così come avviene nell’architettura diagrammatica di van Berkel e Bos o di MVRDV i quali organizzano grandi moli di dati sotto forma di figure geometriche bi e tridimensionali, detti datascapes, e a partire da questi organizzano l’iter progettuale.
Ciò porta a una architettura che produce immagini innovative e a volte geometricamente non banali e che, sebbene faccia diretto riferimento alle teorie della complessità e dei sistemi, non sempre si ispira all’estetica delle pieghe e dei blob.
Anzi, in numerosi casi l’obiettivo e' una certa riduzione formale che ha non pochi punti di contatto con il nuovo stile internazionale che si sta delineando in molte altre realtà occidentali, a partire dalla riscoperta e rielaborazione del minimalismo avvenuta nei primi anni novanta. E’ quanto sostiene, per esempio, Hans Ibelings con un libro nel quale descrive il Supermodernism48, che si caratterizza per il superamento del romanticismo simbolista post-moderm e decostruttivista. Gli architetti che si possono ascrivere a questa tendenza non propongono significati nascosti che stanno dietro le cose, veicolando attraverso immagini forti concetti estranei alla sfera architettonica. Ma cercano di lavorare sull’esistente “at the service of modernization which is currently most visible in the process of globalization” e in questo modo rassomigliano “to the least phase of modernism, during the 1950s and 1960, when there was a strong tendency to accept prevailing conditions as inescapable facts” 49. Da qui forme logiche ed efficaci e un atteggiamento realistico che porta anche all’accettazione delle complesse realtà metropolitane che caratterizzano la nostra epoca, viste non più come stimoli per operare rivoluzioni stilistiche ma come situazioni concrete da migliorare attraverso interventi puntuali.
Se a caratterizzare l’approccio olandese e' da un lato quella che, più tardi, sarà definita da Hans Ibelings con il termine di extreme logic, dall’altro e' un modo di progettare che porta alla costituzione di un artificial landscape, in cui si annullano le divisioni tra natura e artificio, tra oggetto architettonico e contesto circostante. Alle radici di questo approccio vi è una cultura che da sempre ha visto il paesaggio come frutto dell’azione progettuale dell’uomo e che quindi– diversamente da altre, dove la costruzione e' vissuta come un atto di violenza alla natura- non ha mai pensato ai due termini come antitetici. Ma vi è anche una nuova condizione che porta gli olandesi a vivere l’intero territorio come se fosse un’unica realtà metropolitana e quindi a percepirlo come uno spazio frammentato dove si passa repentinamente dalla città alla campagna. Come afferma Adriaan Geuze: “ as an addictive sequence of events”50. A generare, infine , l’artificial landscape è il metodo logico di progettazione, in cui la forma non ha un valore oggettuale ma relazionale. E che quindi evita gli oggetti scultorei in sé e per sé conclusi, per collegare in un unico organismo formale tutti i fattori in gioco e in primis l’edificio con il proprio contesto. Tra gli esempi più riusciti di artificial landscape vi e' la Delft Polytecnic Library a Delft , Olanda (1993-1998) dove la copertura dell’edificio e' un piano inclinato verde in cui gli studenti possono studiare all’aperto, il Dutch Pavilion per l’Expo di Hannover, Germania, di MVRDV (2000) in cui alberi e cespugli entrano ai vari piani dell’edificio e i Secret Gardens a Malmö, Svezia (2000-2001) di West 8 dove la vegetazione e' organizzata secondo i principi della costruzione di edifici multipiano.
Lungo la linea olandese della landscape architecture si muovono i lavori del gruppo Foreign Office Architects (FOA), i cui partner sono Alejandro Zaera Polo e Farshid Moussavi. Il loro capolavoro, il terminal del porto internazionale di Yokohama (1995-2002) è una struttura lunga oltre cento metri su tre livelli –copertura, terminal e parcheggio- che evita di porsi come emergenza ma si connette quasi senza soluzione di continuità con il tessuto urbano, offrendo alla città, a livello della copertura, un incantevole suolo artificiale attraverso il quale guardare il porto. Mentre all’interno, grazie a uno studio maniacale sulle sezioni e sulle strutture ( ne sono state disegnate oltre cento, tra loro diverse) si offre come un accogliente e articolato spazio non privo di ascendenze catalane.
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