Grazie alle opere che vengono realizzate sul finire del millennio, le ricerche degli architetti più innovativi sembrano travolgere le perplessità dei critici conservatori, e registrare un successo quasi illimitato sottolineato dalla crescente attenzione delle riviste.
E’ dall’architettura digitale e bloboidale - o come affermerà con acuta ironia Kurt Andersen: dalla post-Bilbao blobitecture- sembrano emergere le novità più significative. In particolare dagli esperimenti di Greg Lynn che, a differenza dei tanti architetti che sembrano affascinati dalle nuove forme indipendentemente dalla loro coerenza strutturale, punta a ripercorrere con gli strumenti informatici le dinamiche degli organismi viventi.
Nonostante il risultato deludente della Presbyterian Church di New York (1995-1999), un edificio che realizza con la collaborazione a distanza di Michael Mcinturf e Douglas Grarofalo, la strada intrapresa da Lynn sembra tanto fertile che il settimanale Time nel 2.000 lo cita come uno dei 100 possibili innovatori del secolo a venire. A sostanziare le sue ipotesi progettuali provvedono coinvolgenti installazioni e le pubblicazioni da lui illustrate con accattivanti rendering. Nel 2000 Greg Lynn , con Asymptote, e' invitato a rappresentare gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia. Per l’occasione propone un laboratorio dove, insieme agli studenti della Columbia, mette a punto la Embryological House. L’idea e' realizzare una abitazione con gli stessi criteri con i quali oggi si producono le scarpe Nike o le automobili Ford: “ The trend in many industries- spiega Greg Lynn- is to use flexible manufacturing in which computerized machines can make a range of components”54. La casa è costruita con pannelli di alluminio a doppia curvatura che sono sostenuti da una struttura in ferro e alluminio. Grazie alla possibilità che hanno i pannelli di cambiare forma e dimensioni, la casa può assumere forme diverse, come se fosse un organismo in movimento o in crescita. Aggiunge Lynn: “ if you design a seed, you can grow endless variations from it. But all of the information needed for any variation is encoded in the original”55. L’obiettivo si rivela, però, oltremodo complesso da raggiungere e la casa, il cui prototipo è ipotizzato per l’anno 2003, non verrà mai messa in produzione.
Su una linea cyberplatonica si pongono i progetti del gruppo Asymptote, tesi al raggiungimento di forme in cui virtualità e realtà convivono. Come per esempio nel progetto per il Guggenheim virtuale (1999) in cui le informazioni del sito vengono rese concrete spazializzandole sotto forma di immagini architettoniche, mentre viceversa gli spazi reali dei musei gestiti dalla fondazione sono implementati da modelli virtuali gestiti in rete. Sempre di Asymptote e' il progetto per il Museum of Technology Culture ubicato all’East River Piers 9 and 11 a Manhattan dalle forme avvolgenti e il cui interno e' percorso da leggere rampe che offrono la visione degli oggetti in mostra da inconsueti punti di vista. Diversamente dalle strutture tradizionali il museo e' interattivo e caratterizzato dalla flessibilità degli spazi sia in pianta che in alzato: il pavimento dello spazio destinato alle mostre, per esempio, può scomparire per lasciar posto a una vasca d’acqua, mentre la rampa sovrastante può essere riconfigurata.
Tra i progettisti americani, nativi o di adozione,che si cimentano con i blob o, comunque, con le geometrie complesse ricordiamo Kolatan/ Mac Donald Studio, Karl S.Chu, Nonchi Wang, Reiser+Umemoto, Preston Scott Cohen e Ammar Eloueini. Quest’ultimo ha prodotto lavori vivificati da un abile gioco della luce filtrata attraverso sottili schermi. Trattandosi di allestimenti localizzati in ambienti protetti quali spazi teatrali, commerciali o museali, sono realizzati con materiali leggeri ed effimeri che bene rendono, in termini figurativi, la tensione tra la immaterialità - della luce, del disegno, dei movimenti nello spazio- e la concretezza dei corpi.
Per completare il panorama, ricordiamo il lavoro degli studi transnazionali Ocean e Ufo. Rappresentano un fenomeno nuovo e interessante che nasce da aggregazioni di giovani studi professionali i cui partner si sono conosciuti frequentando programmi di studio presso centri di eccellenza quali l’Architectural Association a Londra, il Berlage a Rotterdam, la Columbia a New York. In Ocean spicca la personalità di Kiwi Sotamaa, un finlandese che lavora tra la ricerca di nuove geometrie e l’eredità organica di Alvar Aalto. Ufo, con sedi a Londra, in Corea e in Italia si e' fatto notare per aver vinto il concorso per la Concert Hall per Sarajevo, Bosnia-Erzegovina (1999) con un progetto dalla fluida spazialità interna ma quasi completamente interrato per rispettare la morfologia dei luoghi.
3.11 Paesaggio o oggetti estetici?
Non per tutti gli architetti la riflessione sui temi del paesaggio porta necessariamente a una nuova estetica, caratterizzata da forme innovative e complesse. Anzi i progettisti, che si sentono ancora legati alla tradizione del Movimento Moderno e sono distanti dalle sperimentazioni dell’ avanguardia, vedono la ricerca sull’integrazione dell’architettura nel paesaggio, urbano o naturale, come antidoto ad un’eccessiva esteticizzazione della disciplina architettonica e , soprattutto, come la strada per evitare di realizzare oggetti scultorei estranei al contesto. E’ questo, per esempio, il punto di vista del critico Kenneth Frampton che sostiene in una intervista a Günther Uhlig: “…I think perhaps that landscape is of greater importance than architecture. I personally think that the landscape should be given greater emphasis in architecture schools. Architecture as the cultivation of the landscape seems to me what ought to be about at the end of the century and not the creation of endless aesthetics objects”56. E, interrogato sul successo di The Un-private house, contrappone alle problematiche degli architetti invitati alla mostra del MoMA “ the concerns of critical architects such Alvaro Siza or Tadao Ando who are by no means deluded about continuing the project of the Enlightenment but who at the same time assume a certain responsibility for the cultivation of the landscape and the integration of their works to the ground”57
Il rapporto che Alvaro Siza ha con il paesaggio nasce insieme dalla scomposizione che mutua da una riflessione plastica sul cubismo -Siza e' anche scultore-, dalla riflessione sulla necessità di caratterizzare i luoghi con segni duraturi e non effimeri e, infine, dalla rilettura della tradizione organica e in particolare dell’opera di Alvar Aalto. Con la differenza che mentre questi si rifà alla atmosfera nordica e ai suoi materiali, legno in primis, Siza cerca invece di catturare quella mediterranea. Da qui il prevalente uso dell’intonaco colorato bianco e un approccio più difensivo nei confronti della luce, che nei paesi del sud Europa e' decisamente più intensa e calda. Dopo la Biblioteca universitaria di Aveiro, Portogallo (1988-94) che cita la lezione del maestro finlandese sia nella leggera curvatura del corpo di fabbrica che nella spazialità della sala di lettura posta su più livelli e illuminata da lucernari a soffitto, due altre realizzazioni notevoli sono la Fondazione Serravalle a Oporto, Portogallo (1991-99) e la Facoltà di scienze dell’informazione a Santiago di Compostela, Spagna (1993-99) entrambe giocate sull’articolazione plastica degli esterni e la dinamica degli interni: la prima permessa da uno schema planimetrico compatto che si sfrangia alle estremità e si apre su un complesso patio interno, la seconda da una configurazione a pettine che ha anche il vantaggio di aprire l’edificio al paesaggio circostante. Il Padiglione Portoghese all’Expo di Lisbona del 1998, caratterizzato da forme monumentali che citano l’architettura fascista, è in parte riscattato dalla leggera copertura della piazza al coperto che con i suoi 60x58 metri di luce libera ha rappresentato un complesso problema di ingegneria risolto grazie alla collaborazione con lo studio Arup ( gli interni del padiglione sono stati affidati a Eduardo Souto de Mura). Aperture al paesaggio si riscontano nella chiesa di Marco de Canavezes, Porto, Portogallo (1990-97) attraverso una finestra in lunghezza che mette in relazione il mondo esterno della natura con quello interno dedicato alla preghiera. E nell’anacronistico – per le forme che ricordano gli schemi dell’architettura coloniale - rettorato dell’Università di Alicante, Spagna (1995-98) caratterizzato da un cortile porticato che ricorda una antica piazza d’armi.
Anche il giapponese Tadao Ando si contrappone al caleidoscopio delle immagini della nuova architettura e al caos metropolitano. Lo fa proponendo un minimalismo freddo ma intenso giocato sul contrasto tra natura, materia ( di preferenza il calcestruzzo), luce che ricorda molto da vicino la poetica del silenzio di Louis Kahn. Da qui architetture poco accoglienti e abitabili in cui al confort subentra la contemplazione e in cui vengono messi in gioco, lasciandoli in un precario equilibrio, coppie di opposti quali il rapporto tra interno e esterno, tra astrazione e figurazione, tra parte e tutto, tra semplicità e complessità. Le mie fonti di ispirazione sono principalmente Piranesi e Albers, ha dichiarato Ando citando due personaggi tra loro antitetici: il primo attratto dai fasti e dalle rovine del linguaggio classico e ispiratore di una concezione del paesaggio ossessionata da memorie classiciste, il secondo proteso verso l’astrazione e la semplificazione geometrica.
Al rigore minimalista si può ascrivere, la nuova sede dello stilista Giorgio Armani, il Teatro Armani a Milano, Italia completata nel 2001. Aperture alla dimensione paesistica piranesiana, vi sono nel centro ricerche Benetton a Treviso, Italia (1992-2000), in cui Ando si fa prendere da nostalgie classiciste, collocando in sequenza, quasi come fossero reperti archeologici, fusti di colonne in cemento armato.
Alla ricerca neo-piranesiana di geometrie che si compongono in una convulsa dialettica che oscilla tra l’ordine e il disordine, si può ascrivere l’Awaji-Yumebutai a Tsunga-gun, Hyogo, Giappone completato nel 2001. E’ una moderna villa Adriana in bilico tra l’astrazione delle forme e la citazione di architetture esotiche, caratterizzata dall’ affascinante gioco di terrazzamenti colmati da fiori che vagamente ricorda atmosfere indiane.
Su una linea di ricerca per molti versi in sintonia con quella di Alvaro Siza è Rafael Moneo, autore negli anni Ottanta del museo Romano di Merida, Spagna (1980-86), un edificio che non esita a riprendere temi della spazialità romana avvolgendoli con archi a tutto sesto rivestiti in mattoni. Maestro di molti architetti iberici contemporanei , con i quali ha condiviso la felice stagione della Spagna fine anni Ottanta, e professore in importanti Università - da Losanna ad Harvard di cui e' stato preside dal 1985 al 1990- Moneo ha sempre evitato la contrapposizione tra sperimentazione e tradizione. Lo ha fatto in nome di un’estetica legata all’eredità modernista ma disponibile e aperta. Da qui la rinuncia alla cifra personale e la ricerca di una qualità progettuale che va oltre l’immagine d’effetto. Ma anche a un certo eclettismo, non privo di nostalgie verso l’architettura del passato, che lo porta a realizzare edifici tra loro formalmente molto diversi. Tra le sue opere più contestuali vi sono l’isolato che ospita la casa di cultura in Don Benito, Spagna (1991-97) e La City Hall di Murcia, Spagna (1991-98). La prima è caratterizzata da una brillante soluzione d’angolo, dal gioco delle bucature e dai cambi di colorazione. La seconda da facciate, di cui la principale in pietra locale ritmicamente traforata, che vagamente ricordano le costruzioni italiane realizzate al tempo del fascismo. Una immagine più contemporanea hanno l’Auditorium e Centro congressi a San Sebastian, Spagna (1990-99), due blocchi irregolarmente inclinati e trasparenti, memori forse della lezione di Herzog & de Meuron. I musei di arte moderna e di architettura a Stoccolma(1990-98), un felice inserimento all’interno di un paesaggio segnato da presenze naturalistiche e preesistenze storiche, e l’ospedale Maranon a Madrid (1996-2003), un blocco calato all’interno della realtà metropolitana della capitale spagnola, mostrano la capacità di Moneo di saper lavorare su più registri contestuali. Mentre il Museo di belle arti di Houston, Texas (1992-2000), una scatola vivificata da qualche felice taglio e la Chiesa a Los Angeles, California (1996-2000), una struttura retorica e fuori scala,mostrano i limiti di un atteggiamento che spesso intende il paesaggio urbano in senso monumentale e classicista.
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