3.12 Aesthetics, Ethics, Mutations
A dirigere la settima edizione della biennale di architettura di Venezia e' Massimiliano Fuksas che sceglie per la manifestazione il provocatorio titolo Less Aestethics, More Ethics. E per sottolineare il ruolo marginale che l’architettura gioca all’interno dei fenomeni urbani contemporanei, nonché il pericolo di un suo definitivo accantonamento, allestisce per la mostra un gigantesco megascreen in cui sono illustrati con una caotica quanto efficace sequenza di immagini gli innumerevoli problemi delle metropoli mondiali. Afferma Fuksas: “ L’architettura autoreferenziale, con lo sguardo rivolto perennemente indietro nel tempo, non ha più interesse: viviamo tutti in una border-line con sconfinamenti e incursioni continue”58 In un mondo talmente difficile e contraddittorio non ha senso pensare di risolverne i problemi ricorrendo al formalismo, al bello stile, a linguaggi architettonici sofisticati. Occorre, invece, una nuova estetica che, superando nostalgie e classicismi, sia in grado di guardare ai fenomeni così come sono, captandone l’energia e le inespresse potenzialità, accettandone le contraddizioni. “ Il MODELLO MILITARE URBANO, con il piano e la pianificazione, non resiste all’energia di un magma in continua mutazione. Qualunque struttura rigida salta in mille pezzi: sopravvive solo chi ha l’intelligenza di modificarsi insieme. Prendendo energia ma anche rimandandola” 59. Ciò comporta una precisa scelta di campo per la sperimentazione e l’innovazione, contro la tradizione e l’ accademia. Attraverso questa chiave di lettura possono essere lette le esclusioni di numerosi architetti dalla mostra e l’euforia che serpeggia tra gli invitati, soprattutto i più giovani; euforia che circola anche tra quei padiglioni nazionali che condividono le scelte dell’architetto italiano. Primo tra tutti l’ americano, nel quale, come abbiamo già visto, sono chiamati due giovani professori della Columbia, Hany Rashid e Greg Lynn, con l’incarico di attivare un workshop sperimentale sulle nuove tecnologie.
Mettendo in risalto le contraddizioni e, insieme, le opportunità offerte dalle realtà metropolitane, Fuksas focalizza l’attenzione su un tema sul quale da qualche anno si sta orientando l’interesse di un crescente numero di architetti e di critici. E in effetti se e' vero che, come aveva notato Kurt Andersen, molti progettisti della nuova generazione si sono rivelati allergici all’impegno sociale e politico è anche vero che proprio in questi anni , e da più parti, si e' acquisita la consapevolezza che la città si e' trasformata e che se si vuole agire in qualche modo su di essa, deve essere studiata e analizzata sotto nuovi e più efficaci punti di vista.
Il 24 novembre del 2000 a Bordeaux presso il centro di architettura Arc en rêve apre una mostra, dall’emblematico titolo di Mutations. A curarla sono, tra gli altri, Rem Koolhaas, Stefano Boeri e Sanford Kwinter. Il primo propone il lavoro che da alcuni anni sta conducendo con gli studenti della Harvard Design School sulle realtà urbane della Cina e della Nigeria, nonché sull’impatto dello shopping nella città contemporanea. Stefano Boeri presenta il lavoro del gruppo di ricerca Multiplicity in USE (Uncertain States of Europe), che presenta i profondi cambiamenti che la globalizzazione sta causando in città così diverse quali Mazzara del Vallo e Belgrado, Pristina e San Marino. Stanford Kwinter affronta i cambiamenti nella città americana e in particolare a Huston, una metropoli storicamente allergica alle costrizioni della pianificazione urbanistica.
Ad illustrare la mostra: statistiche, diagrammi e molte fotografie d’autore, tra cui quelle dell’italiano Francesco Jodice. L’obiettivo e' mostrare che il mondo - come avverte l’ultima pagina del catalogo della mostra dove compare scritta a grossi caratteri l’equazione WORLD=CITY - avrà sempre di più le caratteristiche della città. E che numerosi cliché e luoghi comuni ci impediscono di guardarla realmente e di comprenderne gli sviluppi. Da qui l’imperativo di organizzare strategie alternative più puntuali, anche se programmaticamente parziali, che puntano a sostituire il tradizionale disegno urbano con il bigness, l’urban landscape, le tecniche diagrammatiche e altri strumenti messi a punto dalla recente ricerca architettonica.
3.13 Undici Settembre Duemilauno
Le mostre Less Aestethics, More Ethics e Mutations, anche se ancora lontane dall’atteggiamento iper-problematico e a tratti pessimista che caratterizzerà gli anni a venire, segnano una inversione di tendenza rispetto alla prima e della seconda metà degli anni novanta quando alla complessità del mondo si contrapponeva la fiducia, quasi illimitata, nel potere liberatorio dell’arte, della scienza e del digitale. E quando l’esperienza di Bilbao - in cui una città sull’orlo della bancarotta, si era sollevata grazie al potere rigenerativo dell’innovazione culturale operata in nome della globalizzazione- era apparsa l’esemplificazione di un metodo che poteva essere facilmente copiato.
A chiudere il ciclo provvede la crisi economica , con lo scoppio della bolla speculativa in borsa quando i titoli della nuova economia -cioè delle imprese che hanno puntato proprio su internet- arrivano a perdere anche il 90 per cento del loro valore. Termina così una felice congiuntura che, sostenuta da mercati finanziari in pieno boom speculativo, aveva trascinato le economie occidentali e, stimolato, con tassi di crescita a due cifre, quelle dei paesi emergenti, in particolare India e Cina.
Una serie di scandali scuote la fiducia nel sistema , quando si scopre che molte compagnie hanno falsificato i propri bilanci, piazzando, con la complicità delle banche, titoli spazzatura agli ignari investitori. Nello stesso tempo inchieste giornalistiche mostrano che dietro la globalizzazione si nascondono forme nuove e intollerabili di sfruttamento, attuate attraverso la delocalizzazione della produzione in aree geografiche dove e' possibile utilizzare una forza lavoro priva di tutele sindacali.
La tecnologia - che attraverso il web, i voli a basso costo e le comunicazioni in tempo reale, era stata uno dei principali motori dello sviluppo e del cambiamento- viene vista con paura. A preannunciare un clima di crescente sospetto verso il digitale e' il timore – rivelatosi poi infondato- di un collasso dei sistemi informatici a causa del millennium bug cioè del cattivo funzionamento dei contatori automatici del tempo interni ai computer non settati per la cifra 2000. Ma anche la rivendicazione dello “slow” richiesto dai sensi contro il “fast” imposto dall’interazione elettronica. E, infine, il successo degli scritti di pensatori apocalittici, quali l’architetto e filosofo Paul Virilio, che vedono il progresso in termini catastrofici.
Il colpo definitivo a un intero sistema di valori sembra giungere l’11 settembre del 2001. Due aerei di linea dirottati e pilotati da terroristi islamici si lanciano contro le Twin Towers di New York distruggendole. Un terzo aereo si schianta contro un altro edificio simbolo: il Pentagono.
I mercati di tutto il mondo, da mesi in picchiata, hanno una reazione violentissima tanto che il mondo intero, a qualche giorno dall’attentato, segue con il fiato sospeso la seduta di riapertura della borsa di New York, quando si teme, insieme al crollo dei titoli, il collasso dell’economia occidentale.
La fiducia nella globalizzazione, nel potere creativo e risolutivo dell’innovazione sembra definitivamente venire meno. Si scopre, dopo anni di ottimismo e di speranza, che il mondo non solo è complesso ma è anche irriducibile alla ragione, o almeno a quella che appare tale; che la cultura occidentale non è facilmente esportabile; che le strumentazioni digitali non solo riducono i problemi ma, velocizzando i processi e generandone di nuovi, li moltiplicano generando, oltretutto, immensi risentimenti da parte di chi ne è escluso. A complicare la situazione contribuisce la durissima reazione americana, con la dichiarazione di guerra al terrorismo in Afghanistan e, poi, in Iraq. Ad una fase espansiva ne subentra una implosiva, in cui le nuove tecnologie, che avrebbero dovuto liberare l’uomo, vengono adesso sempre più adoperate in funzione militare e repressiva. Ciò non può non provocare ripensamenti e nuovi interrogativi anche nella ricerca architettonica. I moniti – sia pur non privi di un certo compiacimento estetico- lanciati nelle mostre Less Aesthetics, More Ethics e Mutations appaiono profetici, se non altro nell’indicare il bisogno di un radicale cambiamento di rotta.
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