La Storia dell’architettura 1905-2008 Di Luigi Prestinenza Puglisi


La line minimalista in Inghilterra, Francia e in Giappone



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1.10 La line minimalista in Inghilterra, Francia e in Giappone


John Pawson già dai primi anni ottanta aveva realizzato opere schiettamente minimaliste: tra queste nel 1982 la ristrutturazione dell’appartamento dello scrittore Bruce Chatwin, un alloggio di 45 metri quadrati asceticamente arredato con pochi e selezionati oggetti15. Ma e' con gli inizi degli anni novanta, che comincia a delinearsi anche in Gran Bretagna una linea alternativa sia a quella decostruttivista che a quella high tech, grazie ai lavori dello stesso Pawson, di Tony Fretton e David Chipperfield. Si manifesta soprattutto nella progettazione di spazi interni, case di abitazioni e negozi, attraverso una sintassi fatta di forme chiare ed elementari, in cui gli effetti decorativi sono limitati ai giochi della luce e del contrasto dei materiali, per esempio tra le superfici ad intonaco ( spesso colorate bianche o sui toni del grigio) e altre in marmo, legno o cemento a faccia vista. Come per esempio nei negozi Equipment , disegnati da Chipperfield a Londra e Parigi (1991) dove gli unici colori brillanti sono quelli delle camicie, allineate lungo una diafana mensola, illuminata dal retro.

La Lisson Galleries a Londra (1992) di Tony Fretton e' forse tra le opere più celebrate e riuscite di questi anni: si caratterizza per l’asciutto aspetto dei suoi esterni, disegnati da grandi pareti vetrate che conferiscono all’edificio un aspetto astratto, quasi fuori dal tempo. Yehuda Safran, nel recensirla su Domus, parla di una architettura rigorosa, attenta e profonda e non esita a ricordare l’affermazione di Mies van der Rohe secondo il quale: “In my opinion only a relation that touchs the essence of time can be real.”16

Anche in Francia a partire dalla seconda metà degli anni ottanta si delinea una linea di ricerca che tende alle forme essenziali. A precorrerla, con la sua consueta capacità di anticipazione, e' Jean Nouvel. Le opere da lui eseguite in questi anni manifestano un crescente interesse per il tema della trasparenza che porterà al progetto per la Tour sans Fins per il quartiere La Défence a Parigi (1989), una torre la cui sommità quasi si dissolve nell’atmosfera circostante, all’edificio per Les Thermes Hotel and Spa a Dax, Francia (1990-1992), alla fabbrica Cartier a Villeret, Svizzera (1990-1992) e , più tardi, alla Fondazione Cartier a Parigi (1994), un edificio che – come vedremo nel prossimo capitolo- attraverso un sistema di quinte di vetro, insieme trasparenti e riflettenti, cercherà di rendere tangibile il tema della scomparsa dell’oggetto architettonico.

Meno carico di valenze atmosferiche e' il minimalismo di Dominique Perrault. Questi già con l’École Superérieure d’ingénieurs en Électronique et Électrotechnique (ESIEE) a Noysy le Grand, Francia (1984-1987) aveva proposto in edificio la cui forma si riduceva ad un grande piano inclinato a cui si agganciavano i corpi lineari dei laboratori. E’ tuttavia nell’Hôtel Industriel Jean Baptiste Berlier a Parigi (1986-1990) che realizza una scatola vetrata la cui semplicità si pone in netta antitesi con le forme complesse degli architetti decostruttivisti. Il suo obiettivo, come nota Fréderéric Migayrou, e' giungere ad un grado zero della forma caratterizzato da un “ neutral state that precedes and conditions all expression.”17 In pratica ciò si concretizza in un edificio-vetrina che mostra in trasparenza i suoi spazi interni occupati da una quarantina di imprese. L’immagine dell’edificio, conseguentemente, pur rimanendo sempre la stessa a livello di involucro, e' destinata a cambiare nel tempo in relazione alla storia dei propri abitanti e dei loro aggiustamenti. Nel 1989 Perrault vince il concorso per la realizzazione della Biblioteca nazionale di Francia. Il progetto, un grande vuoto centrale delimitato da quattro torri d’angolo con pianta ad L, sarà completato nel 1995.

La passione per le forme semplici, investe anche Bernard Tschumi che tra il 1990 e il 1991 realizza a Groningen un padiglione in cui, se si esclude il pavimento inclinato appoggiato su alcuni setti di cemento, pareti, coperture e strutture portanti sono in vetro. E’ uno dei punti di partenza di una ricerca che tende alla costruzione di contenitori neutri – zero-degree envelopes-, dove l’architettura tende quasi a scomparire.

In Giappone la linea minimalista ha due esponenti che perseguono ricerche tra loro antagoniste: Toyo Ito e Tadao Ando.

Per il primo, come abbiamo visto, la trasparenza e la leggerezza sono il portato della IT revolution e del suo conseguente processo di smaterializzazione del reale. Per il secondo, la cui ricerca inizia sin dalle prime opere degli anni settanta, la riduzione formale e' invece un espediente per realizzare spazi ascetici, essenziali e qualitativamente eccelsi, ispirati all’imperativo del quasi nulla miesiano, che si contrappongono a quelli , sempre più privi di senso, di un mondo caotico, che proprio perché e' dominato dalle nuove tecnologie,e' caotico, inautentico e consumista. Da qui un certo carattere retorico, classicista e monumentale che compromette le sue opere, anche quelle migliori dove però fortunatamente l’architettura si confronta con la natura circostante, quasi sparendo in essa e assorbendone, grazie a studiati tagli, la luce.

Sarà un architetto che ha fatto il proprio apprendistato con Toyo Ito, Kazuyo Seijma, a trovare, nei primi anni novanta, una terza strada al minimalismo giapponese: estranea dalle tentazioni tecnologiche e, allo stesso tempo, lontana dal monumentalismo di Ando. La sperimenta con il Saishunkan Seiyaku Women’s Dormitory a Kumamoto, Giappone (1990-1991), un edificio caratterizzato da forme elementari accostate tra loro secondo una logica additiva, quasi diagrammatica che ricorda quella dello spazio astratto dei fumetti: dove le relazioni tra parti sono essenziali, dove gli oggetti sono ridotti ad alcune caratteristiche primarie ed elementari - quali il colore e la forma geometrica- e dove l’assenza di punti di riferimento o nodi qualitativamente rilevanti porta alla realizzazione di uno spazio omogeneo e isotropo in cui, come nei videogiochi, e' consentita una ampia libertà di movimenti, teoricamente in tutte le direzioni. Dove , infine, e' azzerata qualsiasi volontà espressiva o stilistica. Una ricerca questa che sarà rilanciata da Koolhaas nel concorso, bandito nel 1992, ed organizzato dalla rivista Japan Architect nel quale propone di realizzare una House with no Style, che aspira all’anonimato.




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