Degli architetti presenti alla mostra Deconstructivist Architecture, Frank O. Gehry e' in quel momento il più noto. Nel 1988 ha già all’attivo numerosi anni di brillante attività professionale tanto che l’anno prima gli e' stata dedicata una personale a Minneapolis che, poi, aveva viaggiato a Houston, Toronto, Atlanta, Los Angeles, Boston e New York. Una mostra questa che prelude al Pritzker Architectural Prize, uno dei più ambiti riconoscimenti nel campo dell’architettura, che gli sarà assegnato nel 1989.
Come sottolinea Alejandro Zaera Polo in un articolo apparso su un numero di El Croquis a lui dedicato8, il fascino principale del personaggio consiste nelle solide radici popolari che lo fanno scappare dai noiosi dibattiti tra gli addetti ai lavori. Gehry, infatti, diversamente da Eisenman, Koolhaas, Tschumi o Libeskind, evita di perdersi in annose questioni teoriche per realizzare opere che mirano direttamente all’immaginazione e che coinvolgono i sensi più che l’intelletto. Sono caratterizzate da un deciso impatto iconico, dall’aspetto scultoreo e fortemente plastico e dall’ uso creativo di materiali poveri di produzione industriale.
E’ già dagli anni che seguono la realizzazione della sua abitazione a Santa Monica (1977-79) che Gehry cerca di mettere a punto una sempre più convincente strategia progettuale. A tal fine non esita a sondare numerose direzioni di ricerca, delle quali tre appaiono le più convincenti.
La prima punta alla scomposizione dell’edificio in distinti volumi elementari, ciascuno dei quali e' caratterizzato da una forma e da un materiale: intonaco, pietra, rame, zinco. E’ il caso della Winton Guest House a Wayzata, Minesota (1983-1987) dove quattro volumi “are placed together in a tight complex, like a still life, like a Morandi”9, della Schnabel Residence, Brentwood, California (1986-89) , del centro psichiatrico a New Haven, Connecticut (1985-1989) o dell’ Edegemar Development, Santa Monica, California (1984-1988).
La seconda direzione punta a realizzare edifici unitari ottenuti dall’accostamento di parti tra loro diverse oppure che appaiono sottoposti a forze di deformazione che ne mettono in crisi l’assetto. E’ la strada intrapresa con l’American Center a Parigi (1988-1993), tutto giocato sulla dialettica tra la monoliticità dell’edificio e l’aspetto frammentario delle molteplici parti, alcune delle quali, addirittura, appaiono scivolare e fuoriuscire dall’edificio stesso. E poi – la progettazione risale al 1992 anche se l’edificio sarà completato nel 1997- con la sede degli uffici nazionali Olandesi a Praga, un edificio meglio noto come Ginger & Fred perché ricorda i due famosi ballerini mentre danzano stretti in un abbraccio. Di questo edificio colpisce in particolare la soluzione d’angolo in cui il corpo vetrato si contrae al centro per allargarsi verso la base, ricordando i fianchi e la gonna della ballerina. In realtà, al di là dei riferimenti iconici, e' un modo brillante per garantire all’edificio inaspettate visuali e per farlo colloquiare con le forme barocche che caratterizzano la città di Praga.
La terza direzione punta ad oggetti dalle forme complesse e dal forte impatto scultoreo quali il museo Vitra a Weil am Rhein, Germania (1987-1989). In questo opera, che sarà molto ammirata dai giovani architetti che, a partire dagli anni novanta cercheranno di proporre una nuova estetica fondata sulla morfogenesi e il calcolo digitale, Gehry cercherà di sottrarre l’architettura all’aspetto tradizionale che l’aveva sino ad adesso contraddistinta per farla diventare un puro fatto plastico. E’ quest’ultima la direzione che in seguito Gehry percorrerà con maggiore perseveranza e che porterà alla realizzazione dei suoi due capolavori: l’auditorium Walt Disney a Los Angeles (1988-2003) e il museo Guggenheim di Bilbao ( 1991-1997). Di entrambi parleremo in seguito.
1.7 Disgiunzione e dislocazione
Tschumi nel 1992, a dieci anni dal concorso per il parco de la Villette e a quattro dalla mostra Deconstructivist Architecture, centra un importante successo vincendo la competizione internazionale per la realizzazione della scuola d' arte di Fresnoy, a Tourcoing, appena a nord est di Lille.
Il sito prescelto è un lotto su cui insistono alcuni edifici che Tschumi, aderendo all'invito del bando, mantiene, apportandovi pochissimi miglioramenti. Costruisce nello spazio libero un manufatto destinato a cinema, sale di registrazione e uffici amministrativi e copre l'intero complesso con una copertura metallica di circa 100x80 metri, realizzata con parti opache e parti traslucide. Conferisce così all'intero complesso coerenza d'immagine, e, nello stesso tempo, mette in risalto la differente morfologia degli edifici che ricopre. Determina tra i tetti di questi ultimi e l’ intradosso della copertura da lui ideata nuovi ambienti coperti, collegati da un complesso sistema di scale e passerelle, nei quali si possono localizzare attività didattiche, svolgere esercitazioni, allestire mostre, ritagliare momenti di tranquillità per lo studio.
Lo spazio risultante non è né unitario né frammentato, né interno né esterno. Probabilmente sarebbe piaciuto a Guy Debord e ai situazionisti, per la sua caratteristica di non cadere nella banalità e nella meccanicità dello stile modernista ma di emergere, quasi inaspettato, dalla interazione di strutture appartenenti ad epoche e a stile diversi. E, proprio per questo motivo rappresenta, un esempio di disgiunzione, una prassi architettonica che Tschumi ha da tempo teorizzato.
La disgiunzione si fonda su un assunto: che, dopo la crisi del Movimento Moderno e delle sue granitiche certezze, non abbia più senso proporre sintesi risolutive; siano queste funzionali, organiche o razionaliste. E che, invece, possa essere più produttivo che l' architettura diventi espressione di una mancanza, di una tensione. La mancanza si trasforma così in apertura ( ecco il senso della parola dis-giunzione), in desiderio, stimolo alla scoperta, in invito a varcare i limiti.
Nello stesso anno in cui Tschumi vince il concorso per la scuola di Fresnoy, Peter Eisenman scrive per Domus un articolo dal titolo " Visions’ Unfolding: Architecture in the Age of Electronic Media"10 con il quale cerca di porre alcune questioni teoriche che rendono conto della sua recente produzione architettonica, orientata verso geometrie complesse, spazi vibranti, punti di vista azzardati e precari.
L' architettura quale ci è stata consegnata- afferma Eisenman- sinora ha avuto il compito di superare la gravità, monumentalizzandone il superamento e traducendolo in termini di rapporti visivi. Da qui due conseguenze. Prima: ha stabilito tramite le categorie contrapposte del dentro e fuori, sopra e sotto, davanti e di dietro, destra e sinistra una precisa relazione tra se stessa e l'utente. Seconda: si è strutturata in modo tale "any position occupied by a subject provides the means for understanding that position in relation to a particular spatial typology , such as a rotunda, a transept crossing, an axis, an entry"11.
A fondamento di questa architettura stabile, funzionale, concettualmente armonica e gerarchica vi è una concezione prospettica dello spazio, che, per quanto sia stata messa in crisi dalle avanguardie artistiche del primo novecento, per esempio dal Cubismo e dal Costruttivismo, ancora sopravvive in architettura. Ma - continua Eisenman- se la civiltà elettronica sta scardinando il modo tradizionale di intendere la visione, trasformandola da attività intellettuale ( prospettica), in fatto emozionale ( cioè di pura immagine), allora in qualche modo l'architettura deve tenerne conto.
Da qui la proposta di introdurre una nuova categoria operativa " la dis-locazione" che, per molti versi, rassomiglia alla "dis-giunzione" perseguita da Tschumi. La dislocazione è il tentativo di separare il soggetto dalla opera di razionalizzazione dello spazio che egli instintivamente tenterebbe di fare all'interno di un luogo, quindi in primo luogo di "separare l'occhio dalla mente". La dis-locazione fa intravedere che esistono spazi diversi, "altri", rispetto a quelli a cui siamo abituati e soprattutto - come afferma ermeticamente Eisenman- che esiste uno “an affective space, a dimension in the space that dislocates the discursive function of the human subject and thus vision, and at the same moment, creates a condition of time, of an event in which there is the possibility on the environment to look back at the subject, the possibility of the gaze”12.
Se la dis-locazione proposta da Eisenman punta prevalentemente a mettere in crisi i riferimenti concettuali attraverso i quali l’intelletto si appropria dello spazio, quella operata da Coop Himmelb(l)au mira a coinvolgere i sensi e il corpo. Da qui la realizzazione di congegni spaziali stridenti e antiergonomici e allo stesso tempo incuriosenti e coinvolgenti. Come nel caso della rimodellazione di un attico a Vienna (1983-1989) dove la nuova costruzione sembra un mostro meccanico che, come un parassita, si e' posato su un palazzo ottocentesco. Un oggetto, però, che passata la prima reazione di fastidio, attiva inaspettate relazioni con il cielo, dislocando quindi l’osservatore verso una dimensione sublime che le architetture scatolari, invece, gli precludono. Oppure, come nel caso della fabbrica Funder 3 a St. veit-Glan in Austria (1988-1989) la disarticolazione dei volumi edilizi in piani e linee in aparente stato di precarietà e di disequilibrio mettono in uno stato di disagio che si può superare solo nel momento in cui ci si libera dall’idea accademica di ordine per godere di un paesaggio esploso e perciò ricco di sorprese.
Sempre sulla linea della dis-locazione si muove Daniel Libeskind, ma intendendola in senso metaforico, analogico e poetico. Per Libeskind, infatti, i segni architettonici si comprendono solo in relazione a una realtà altra: quella della storia, della musica, della poesia. Viceversa la storia, la musica, la poesia possono essere comprese solo se tradotte nei segni che caratterizzano lo spazio della nostra esistenza, cioè l’architettura. Tutti questi segni, che tra loro si richiamano in un vortice di rimandi, tessono la trama del mondo costituendone il significato ( il significato e' infatti la traduzione di un sistema di segni in un altro sistema di segni). Ma un significato che nei suoi aspetti ultimi ci sfugge perché, per quanta fatica noi facciamo ad organizzare una matrice di senso e a trovarne le radici, alla fine il quadro che riusciamo a ricavarne e' sempre incompiuto, provvisorio, frammentato e disarticolato.
Ispirata dalla mistica ebraica, vi e' nell’opera di Libeskind un aspetto criptico e esoterico. Ma anche il fascino di una visione metafisica che maturà nel museo ebraico di Berlino, un’opera a cui Libeskind lavora sin dal 1989 ma che verrà inaugurata solo nel 1998.
Negli stessi anni in cui si sviluppano queste poetiche legate la decostruttivismo, emergono altre linee di ricerca meno disarticolate e più unitarie. Alcune, che puntano alla riscoperta della concretezza e della materialità dello spazio, altre – che esamineremo successivamente- di stampo minimalista, altre infine più orientate verso la dimensione tecnologica.
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