Giampaolo Dossena dizionario dei giochi con le parole



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I versi del Mezzofanti sono monosillabici ma sono binari perché sono tronchi. Versi monari: impossibili in natura. I latini chiamavano monosillàbici i versi che cominciano e finiscono con parole monosillàbiche. Per esempio ha scritto Ausonio:

Res hominum fragiles alit et regit atque premit sors, Sors dubia aetemumque Labans quam blanda fovet spes, Spes nullo finita aevo, cui terminus est mors. Mors avida inferna mergit caligine quam nox. Nox... ecc.

Questi versi di Ausonio sono "monosillàbici anadiplòsici" perché l'ultima parola dell'uno è la prima parola del seguente. Più compatto e testardo il Caramuel ha scritto:

Lux, nox, nix, pix, mei, fel, nos, vos, res cui par nil.

I monosìllabi, frequenti in francese, sono stati usati in vari modi. Basti citare l'inizio di una poesia di Etienne Tabourot:

Mon coeur, mon heur, tout mon grand bien; A quije suis rien plus que mien, Près quoyje ne vois som les cieux Rien de plus beau cher à mes yeux...

Ancor più frequenti sono i monosìllabi in inglese. Basti citare versi dal Re Lear di William Shakespeare, atto 4 scena 6:5

Thou know'st the first tinte thatwe smeli the air, We ivawl and cry: I willpreach to thee; mark me. When we are born, we cry that we are come lo this great stage offolls. - This a good block? — ;
147 \nelumbo - Si prende una frase, e parola per parola si cerca su unvocabolario quella che è la parola successiva in ordine alfabetico - o quella che sarebbe la parola successiva in ordine alfabetico se la parola in questione ci fosse, sul vocabolario. Molte parole sui vocabolari non ci sono per tante ragioni, a cominciare dalle flessioni. Per

: esempio in certi vocabolari non c'è "nel". Ma si guarda dove starebbe "nel", se ci fosse, e si prende la parola successiva: che - in certi

vocabolari - è "nelumbo". Di qui il nome del gioco, poiché così cominciò la frase risultante dal primo esperimento.

I primi tre versi dell'Inferno di Dante Alighieri, giocati al nelumbo,

danno infatti:
Nelumbo mi delatore cammucca dia note vitacee

miagolamento ritta pera unanime selz osé

cheap labarda dirivare viabile essi smarronare.
Divertimento di primo grado, scoprire parole come "nelumbo", e

apprenderne con triste meraviglia, o empia ilarità, il significato. Poi,

osservare le parole successive, come si sgranano, come riescono o

non riescono a concatenarsi tra loro. Ad alcune sfugge la presa, precipitano in un burrone di nonsenso cottolengoso.

L'inventore di questo gioco, Sergio Valzania, per la cronaca ha usato uno Zingarelli 1° edizione e ha voluto soccombere a stimoli un po' perversi, non infrequenti fra chi pratica giochi come i nostri: si

è incaponito a trovare un significato in quella successione di parole,

da "nelumbo" a "smarronare". Ecco la sua traduzione immaginaria:
Povero me che ho fatto la spia. Povero me, devoto al sacro drappo ornato con tralci di vite, ho commesso un grave errore raccontando di aver assistito a una festicciola nella quale, fra mugolii ferini e sotto l'effetto di farmaci, (essi) tentavano varie guise di maialate, senza essere

tanto dotati.


Il gioco del nelumbo è una variante del Metodo S + 7.
148 \nonsenso - Tutti i vocabolari della lingua italiana registrano "nonsenso" nell'accezione di (1) "assurdità, sciocchezza, cosa

contraria alla logica e al buon senso". Alcuni vocabolari registrano

anche l'accezione di (2) "forma di umorismo paradossale", con riferimento esplicito o implicito all'inglese "nonsense":
(1) Ciò che non ha senso, frase o detto assurdo, illogico, contraddittorio. (2) Piccola poesia o prosa priva di senso, in cui le parole si uniscono solo per il gusto fonico o della bizzarria, di cui furono un tempo

maestri gli inglesi, oggi diffuse pressoché in ogni paese. '


Altri vocabolari ancora registrano sia "nonsenso" o "nonsense" con la -E, attribuendo al primo la accezione (1), al secondo la

accezione (2), tenendole così più nettamente separate.

La contrapposizione fra le due accezioni si può paragonare a quello

che aviene con la parola glossolalìa: da un lato si parla di glossolalìa patologica, "disturbo del linguaggio", roba da matti, matti da legare; da un altro lato si parla di glossolalìa lùdica, esercizio o gioco

orale di bambini e di adulti.

In inglese "nonsense" con la -E vuol dire "cosa senza senso" almeno

dal 1614. "assurdità" almeno dal 1630; si daterebbe al 1822 "nonsense verses: verses consisting of words and phrases arranged without regard to the sense".

The Book of Nonsense di Edward Lear è del 1846. I due libri della

Alice di Lewis Carroll sono del 1865 e 1872.

Il libro di Lear è accessibile al lettore italiano in una traduzione con

testo a fronte, a cura di Carlo Izzo (Einaudi, Torino 1970) ma varie

cose di Lear erano già state diffuse prima del 1930 da Camilla Del

Soldato.

Le poesie di Lear hanno raggiunto un certo livello di popolarità col

nome di limericks.

I libri di Carroll sono accessibili al lettore italiano in varie traduzioni;

si raccomanda quella globale intitolata Alice, introduzione e note di

Martin Gardner tradotta e aggiornata da Masolino d'Amico, Longanesi, Milano 1971 (disponibile in "oscar" Mondadori dal 1978). Bisogna studiare bene il capitolo sesto di Attraverso lo specchio. La

poesia che Alice recita e Humpty Dumpty commenta, intitolata Ja3berwocky, è il nonsenso numero uno nella storia della letteratura planetaria, corona di significanti a cui non corrisponde nessun significato. Qui si trova "tove" (una, parola inventata di cui si servirà

Ludwig Wittgenstein) e qui si parla di parola-valigia.

Quanto sia stata lenta la penetrazione di certe cose in Italia si vede

dal capitolo che Americo Scarlatti dedicò alla "Letteratura senza senso" nelle sue Amenità letterarie (1915 e anni precedenti): non vi si parla né di Lewis né di Carroll, e "senza senso" indica sempre, per lo

Scarlatti, "assurdità, sciocchezza, insensatezza, cosa contraria alla logica e al buonsenso".

Nella storia della letteratura italiana vanno confrontati il Burchiello

(Domenico di Giovanni) e Il Pataffio (attribuito a Ramondo di

Amaretto Mannelli).6 Nel Burchiello sono messe insieme, senza senso, parole di ciascuna delle quali si conosce il senso, si riconosce un

senso, e la mancanza di senso viene dal loro accostamento: "nominativi fritti e mappamondi". Siamo vicini a Lear. Nel Pataffio sono messe insieme parole che sembrano anche una per una senza senso:

"Squasimodeo, introcque e a fusone". Siamo vicini al Ja113erwocky.

Col Burchiello e col Pataffio i progetti di distruzione letteraria toccano vette dopo le quali si potrebbe considerare chiusa la partita;

ma si possono imboccare altre strade per arrivare, pochi anni dopo

il Burchiello e il Pataffio, a altre distruzioni: quella macarònica e

quella pedantesca.

Forse si dovrà riconoscere "un irrinunciabile carattere della nostra

lingua a veicolare comunque un qualche senso": il meglio del nonsenso è nelle filastrocche.

Si ha qualche apprezzabile forma di nonsenso nelle parole inventate. Le incarrighiane sono vicine al nonsenso nell'accezione (1).
149 \notariqòn - Tecnica cabalistica (di certe frange della Qabbalà)

per compiere con parole della Bibbia operazioni analoghe a quelle

che intendiamo noi parlando di acròstico (interpretazione di una

parola come se fosse una sigla acròstica).


150 \note musicali - Coi nomi delle sette note, "do, re, mi, fa, sol, la,

si" si possono costruire parole come "Re" e "Mila" (le vedremo più

avanti). più lunghe, parole come "mimido, redola, solfare, l'alare, similare, l'amilasi"; frasi compiute come "mi sol dore la refa" che, a Canale d'Agordo in provincia di Belluno, vuol dire "io solo uso lo

zaino". Una canzonaccia diceva "la mi sorella la si fa fa" (la dà via

selvaggiamente). I francesi dicono che "l'ami Remi la sole l'a mis là",

la sogliola (marcia) ha fatto morire il mio amico Remigio: questa è la

sua tomba. A una lingua basata sulle note musicali accenniamo nella

voce aiuto-otuia.

Renzo Butazzi ha scritto una storia intera coi nomi delle sette note. Il

Re concupisce Mila (una giovinetta? una sposa?) e per possederla le

offre vari doni, che non le piacciono: "remi" per andare in barca,

"l'amido" per stirare, un giovane cavallo ("redo"), "fasi d'odore"

(probabilmente profumi da combinare, sovrapporre, intervallare).

Infine le offre tutte le montuose terre della Sila, ma solo quelle. Mila

accetta, e decide di concedersi perché ritiene la Sila buona fonte di

reddito nella stagione calda, per intenso afflusso turistico. Ecco la

parte finale del dialogo.
"Mila, l'ami la Sila?"

"Sì, re, la Sila sì".

"Mila, sol la Sila dò.

"Sì, mi dò. Sire, sì!

Soldo là l'afa fare mi fa".
Si può provare a suonare con un flauto dolce queste parole, considerando le sillabe proprio come note. L'ultimo verso è il più orecchiabile.

Michele Puchberg ci si è accanito col suo pianoforte a coda, si è orchestrato tutti i versi, e - sembra che i musicisti facciano così - ha liberamente usato la traccia del Butazzi per cavarne un piccolo libretto d'opera lirica. Tenori-soprani dicono che è una vecchia "solfa",

ciascuno dei bassi-contralti dice che la sa ("solla"). Si illudono che le

"mire" del Re siano vane. Alla fine, con orrore, il coro vede che Mila

cede ("si fa fa'").

L'interpolazione più notevole si ha quando Mila ripensa alla sua vita

casalinga con accenni che ricordano "Vissi d'arte": "misi dosi, misi

fasi, mi resi". Il finale si può veramente cantare a gola spiegata. Vedi

illustrazione n. 45.

Restrizioni o costrizioni analoghe a questa delle note musicali si

possono avere usando solo le sigle delle provincie che compaiono

sulle targhe automobilistiche, o i simboli chimici, o, meglio, le lettere

A, B, G, M, N, o, R, V, iniziali di Azzurro, Bianco, Giallo, Marrone,

Nero, orange, Rosso, Verde: i colori del Master Mind. Dario De

Toffoli ha scritto un "master mind narrativo" inventando la seguente

partita:
si udì il ROMBO (o)

della BOMBA; (.o)

la MANNA finì; (...)

anche l'AROMA (..o)

del GRANO divenne (oo)

AMARO: su tutto (ooo) '-

calò VOMBRA del

Come sa chi gioca o giocava a Master Mind, (.) indica "uno giusto al posto giusto", (o) indica "uno giusto al posto sbagliato". La soluzione è "magma".

Illustrazione n. 45.

Spartito della Mila di Puchberg-Butazzi.
nota:

In francese si gioca agli alphabets parlants usando i nomi delle lettere

dell'alfabeto. Cfr. nota alla voce

rebus.
151 \numerologia - Arte di trovare nei numeri proprietà segrete (magiche, mistiche ecc.). La gematrià ci porta in un'atmosfera nume-rològica; ben poco di numerològico ha il cronogramma.

Un grasso concime per la numerologia son le confusioni alfanumèriche fra lettere dell'alfabeto e numeri.

Bella operazione numerològica è per esempio quella di considerare il numero 17, cifre romane xvii, anagramma della parola latina VIXI: "ho vissuto, ho finito di vivere, son morto". Di qui verrebbe il convincimento che il 17 porti male.

I bambini vogliono bene al numero 8 perché basta mettergli le orecchie puntute, i baffi, la coda, e diventa un gatto. Gli adulti, o i matti, scrivono elogi del numero 8 (vedi alla voce aiuto-otuia). Il colonnello Mario Zaverio Rossi era nemico del numero 8, come accenniamo alla voce macchinetta.

Contro certi filologi aritmòmani scriveva nel 1921 il Wilamowitz: "la superstizione del numero sembra inestirpabile: non fa che assumere sempre nuove forme".

Alla voce logogrifo sorprendiamo un archeologo intento a limare nottetempo gli spigoli della piramide di Cheope per far tornare certi suoi conti di numerologia.
nota:

In H come Homicide Sue Grafton fa un gioco di numerologia sulla data di nascita della

protagonista, in cui compare tre volte il 5; e quando si presenta col nome (falso) di Hannah Lee Moore

questa protagonista si sente dire con

prontezza: "Non ci credo. Non ho

mai conosciuto nessuno con quattro

doppie: due H e due N in Hannah, due E in Lee, due o in Moore. Inoltre Hannah è palindromo".

un gioco numerologico molto

complesso fa Kurt Vonnegut in Hocus Pocus.
152 \occhio - L'occhio può vedere certe cose, mentre l'orecchio può udire certe cose. L'occhio può vedere i segni con cui sono scritte le parole (le 21 lettere del cosiddetto alfabeto latino-italiano). L'orecchio può udire i suoni con cui sono pronunciate le parole (i 30 suoni della lingua italiana). Per esempio l'occhio vede 5 lettere vocàliche, A, E, I, O, U; l'orecchio sente 7 suoni vocàlici, a, é, è, i, ó, ò, u (per non dire dei due suoni semivocàlici o semiconsonàntici). La contrapposizione si può indicare in vari modi: scritto-parlato, per iscritto-oralmente, graficamente-foneticamente, alfabetico-acustico, libresco-popolare...

La contrapposizione fra quel che vede l'occhio e quel che sente l'orecchio è più evidente che mai se si confrontano i due diversi giochi del pranzo d'acqua e del qui nella zona. Quando si gioca con le parole i casi sono tre:

- o si hanno risultati che funzionano sia per l'occhio, sia per l'orecchio;

- o si hanno risultati che funzionano solo per l'occhio, e non per l'orecchio;

- o si hanno risultati che funzionano solo per l'orecchio, e non per l'occhio.

A volte è evidente e consapevole la distinzione tra questo e quel caso, fin dal nome con cui si indica il fenomeno: rima per l'occhio diversa da rima per l'orecchio.

Più spesso non ci si pensa. Nelle parole incrociate tutti fanno incrociare "aGevole" con aGosto"; che in "aGevole" la G sia dolce mentre invece la G è dura in "aGosto" è considerato ovvio e irrilevante. Sottolinearlo, si considera pedantesco. Volta per volta accenniamo a questi fatti, senza insistere. Sono più che mai legati all'occhio quei modi di giocare con le parole in cui non si riesce a cogliere il meccanismo se non compitando le parole in gioco lettera per lettera, con carta e matita o con i tasselli dello -*- Scrabble-Scarabeo. Questo avviene per esempio con anagrammi di una certa lunghezza.

Sono legati all'occhio i giochi per i quali, con qualche perplessità, usiamo l'aggettivo icònico.


153 \olorimi - Si dicono olorimi o pantorimi due versi che fanno rima tra loro essendo tutt'una rima: sono costituiti da un'intera rima ricchissima che arriva fin in cima al verso, sulla sinistra, cominciando dal fondo, dalle ultime sillabe sulla destra.

In francese sono famosi questi, di Marc Monnier (da alcuni erroneamente attribuiti a Victor Hugo):

Gali, amant de la reine, alla, tour magnanime, galamment de l'arène à la Tour Magne, a Nimes.

I versi olorimi hanno a che fare col calembour ma meglio li si intende se li si considera una varietà della frase doppia.

nota:

cum flatibus aequor; Sic fugiens,



dux, zelotypos quam karus haberis; Vix Phlegeton Zephiri quaerens

modo flabra Mycillo.


154 \omoconsonàntico - Si può chiamare "omoconsonàntica" una parola o una frase in cui compaiono varie lettere vocàliche, ma compare una lettera consonàntica, più volte ripetuta, e non compaiono altre lettere consonàntiche: per esempio cacciucco.

Si può chiamare "monoconsonàntica" una parola o una frase in cui compaiono varie lettere vocàliche, ma compare una lettera consonàntica sola, una volta sola: per esempio, in bergamasco, "ie, ìe a et e àe ìe". (Ne parliamo alla voce cacciucco.) Si può chiamare "iperconsonàntica" una parola in cui compaiono tante lettere consonàntiche e poche lettere vocàliche: per esempio schincherche.

Si può chiamare "oloconsonàntica" una parola in cui compaiono solo lettere consonàntiche, e nessuna vocale: per esempio "psst". (Ne parliamo alla voce schincherche.)
155 \omògrafo - Sono omògrafe due parole che si scrivono nello stesso modo. I casi sono due:

- o si leggono anche nello stesso modo, e allora sono omògrafe-omòfone, ossia sono due omònimi. Diversi però sono i casi di campo-campo e di sei-sei. Diverso ancora è il caso di due persone che hanno lo stesso nome o lo stesso nome-e-cognome: ne accenniamo alla voce perché-perché.

- o si leggono in modo diverso, e allora sono omògrafe-non-omòfone. È il caso di venti-venti, colla-colla, presento-presento, razza-razza ("omògrafi non omòfoni per fonèma") e di sùbito-subito ("omògrafi-non-omòfoni per tonema").

Il terzo caso, di parole che si leggono nello stesso modo ma si scrivono in modo diverso, cioè di parole omòfone-non-omògrafe, è raro e irrisorio in italiano, mentre è frequente in francese: calembour.


156 \omosintassismo - Si prende una frase (frase di partenza) e se ne scrivono le parole, una per una, in colonna, sulla sinistra d'un foglio. Nella colonna centrale se ne fa l'analisi grammaticale. Nella colonna di destra si cerca di scrivere una nuova frase (frase di arrivo), che corrisponda parola per parola all'analisi grammaticale, ma sia totalmente diversa dalla frase di partenza.

Partendo per esempio dai primi sei versi dell'Inferno di Dante Alighieri si ha:

Nel prep.art. Sulla

mezzo / sost. peluria

del prep.art. del

cammin sost. labbro

di prep. di

nostra agg- costosissima

vita sost. partner

mi ritrovai verbo indugiai

per prep. in

una art. un

selva sost. inquietudine

oscura agg- ansiosa

che avv. perché

la art. il

diritta "gg- suo

via sost. telefono

era smarrita verbo insisteva.

Ahi esclamaz. Sacr....'

quanto avv. come

a prep. a

dir verbo ripensare

qual agg- quale

era verbo risuonò

è verbo è

cosa sost. brivido

dura agg- castrante

esta agg- quella

selva sost. - voce

selvaggia agg- sarcastica

e cong. e

aspra agg- gelida

e cong. e

forte agg- tagliente

che pron. che

nel prep.art. nella

pensier sost. cornetta

rinnova verbo chiese

la art."Il

paura sost. Giuseppe?"

È un gioco dell'Oulipo e non mi sembra molto divertente. Forse può essere blandamente divertente sottoporre il risultato a qualcuno, chiedendogli: che gioco è? cosa c'è, sotto questo raccontino? qual gatta ci cova?

Sulla peluria del labbro di costosissima partner indugiai in una inquietudine ansiosa perché il suo telefono insisteva.

Sacr...! come a ripensare quale risuonò è brivido castrante quella voce sarcastica e gelida e tagliente che nella cornetta chiese: "il Giuseppe?"

È indispensabile presupporre che l'interlocutore sappia a memoria i

versi di Dante Alighieri. Possono affiorargli quasi involontariamente, ]

vincendo a stento le barriere della sua probità mentale. Lo scherzo è

bello se qualcuno può rifiutarsi di accettarlo.

Per aiutare la cavia paziente e riluttante si può infliggerle quest'altro

raccontino:

Lungo il molo sulla rada di lussuoso isolotto ci siamo imbarcati su un peschereccio olandese in quanto le nostre vacanze stavano finendo. Aiuto! come a ricordare quale si rivelò è stringimento anale, quello zatterone scassato e arrugginito e asmatico che nelle onde perdeva i bulloni.

Se avete voglia e pazienza potete fare da voi l'analisi grammaticale di questo secondo raccontino. Corrisponde perfettamente a quella del primo. Forse, se non siete troppo arrugginiti, troverete approssimazioni e errori nelle mie analisi grammaticali. Ma voi non badate a queste cose, presumo. Manco vi sfiora il dubbio che forse "nel mezzo" non è "prep.art. + sost." bensì locuzione avverbiale... Vi renderete conto che, sia elaborando voi l'omosintassismo, sia sottoponendolo come indovinello ad altri, il punto più difficile da rifare e dunque più facile da riconoscere è "Ahi quanto a dir qual era è cosa dura". Ci sono impennate sintattiche che la vincono sul contenuto. Forse in certi casi il vero omosintassismo del testo x è dato solo dal testo x, come il Don Chisciotte di quel personaggio di Borges chiamato Pierre Menard.


157 \omotelèuto - Questa brutta parola (che ha due varianti di forma: "omeotelèuto" e "omoiotelèuto") dovrebbe indicare parole "che finiscono nello stesso modo": allitterazioni finali senza rima, né assonanza o consonanza. Diceva Giovannino Guareschi che "Bertoldo" e "Candido" hanno in comune il fatto di finire per "-do". E cos'hanno in comune Albios, Vestes, Findus? Qualche volta gli omo-telèuti fanno rima per l'occhio.

Il fenomeno è più importante di quanto possa sembrare, perché chi trascrive un testo affrettatamente, quando vede due righe che finiscono nello stesso modo può saltarne una.

È dunque un fenomeno che riguarda l'occhio, e l'occhio resta tanto più facilmente ingannato quanto più corposo è il fenomeno. Il massimo rischio si ha quando due righe successive finiscono con la stessa parola.

Lo stesso succede se due righe successive cominciano con la stessa parola, o con lo stesso, corposo gruppo di lettere. In questo caso si parla di "omeoarchia".


158 \omovocàlico - Si può chiamare "omovocàlica" una parola o una frase in cui compaiono varie lettere consonàntiche, ma compare una lettera vocàlica, più volte ripetuta, e non compaiono altre lettere vocàliche: per esempio assatanata.

Si può chiamare "monovocàlica" una parola o una frase in cui compaiono varie lettere consonàntiche, ma compare una lettera vocàlica sola, una volta sola: per esempio, in inglese, "strenghts". (Ne parliamo alla voce cuoiaio.)

Si può chiamare "ipervocàlica" una parola in cui compaiono tante lettere vocàliche e poche lettere consonàntiche: per esempio cuoiaio.

Si può chiamare "olovocàlica" una parola in cui compaiono solo lettere vocàliche, e nessuna lettera consonàntica: per esempio "Eioe". '

(Ne parliamo alla voce cuoiaio.) '*
159 \o prole di micio - Provate a leggere questi quattro senari di Renato Bolla:

O prole di micio, '

per strutto t'invischi? - , .

Il piede con l'unghie

di perdere rischi.

È chiaro: sono un modo per dire "tAnto vA lA gAttA Al lArdo che ci lAsciA lo zAmpino" senza usare la lettera A. Potete prendere una frase qualsiasi e cercar di riscriverla senza usare una certa lettera: è questo l'antico gioco del lipogramma. In linea di massima è tanto più difficile evitare l'uso di una certa lettera quanto più alta è la sua frequenza. Fra le lettere vocàliche la U è la meno frequente e dunque evitarne l'uso sembra facile, ma provate a fare il lipogramma in U di questi versi di Corrado Govoni:


Usignolo, mulino

di luna ,

della rugiada.
In un gruppo di ragazzi si può rispondere a turno a una domanda . (per esempio: "cosa ti piacerebbe mangiare alla mattina, a mezzogiorno e alla sera?") senza usare una certa lettera. La lettera può > cambiare man mano che risponde un ragazzo dopo l'altro. Il primo non deve usare la lettera A, il secondo non deve usare la lettera B, eccetera. Chi non deve usare la E fa più fatica di chi non deve usare la H. Questo gioco si chiama Tabù?

In altri giochi la costrizione non riguarda le lettere dell'alfabeto bensì le parole: per esempio nel gioco in scatola chiamato Taboo.

Se farete spesso questi giochi con persone di diversa età, di diversa cultura e estrazione sociale, vedrete che alcuni non hanno scioltezza, si muovono a scatti cercando di sostituire a una parola per volta perìfrasi e sinònimi. Se la cava bene chi invece prende questo gioco come un valzer in un salone sgombro e rigira la frase con la massima libertà, disinvoltura. L'eleganza è un altro problema ancora.
160 \orale - È il contrario di "scritto"; un gioco orale si fa a voce, o ad alta voce, e funziona per l'orecchio, non sempre per l'occhio. L'aggettivo che più rudemente si contrappone a "orale" è "libresco". Lo adoperiamo parlando degli allòtropi.


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