- preTE + TEsa = preTEsa (schema aX + Xb = aXb: "sciarada incatenata");
- caSCO + SCOvolo = cavolo (schema aX + Xb = ab: "lucchetto");
— DROga + laDRO = gala (schema Xa + bX = ab: "cerniera");
- SCIAme + SCIAlo = melo (schema Xa + Xb = ab: senza nome);
- peSCHE + liSCHE = peli (schema aX + bX = ab: senza nome). Si noti (illustrazione n. 71) che negli ultimi quattro giochi la detrazione degli elementi X è totale, mentre nel primo è parziale. Il colonnello Mario Zaverio Rossi raggruppava gli ultimi quattro giochi sotto l'etichetta di cerniere, e se ne serviva per la costruzione delle sue macchinette. aX + Xb - aXb
Gli ibridi della sciarada sono innumerevoli. Si divertì a enumerarli negli anni '30 Amedeo Tosetti, per esasperare l'amico Giorgio Sisini. Se non riconoscete in queste due poesie i 6 ibridi della sciarada elaborati, fra mille, da Amedeo Tosetti, li trovate in nota.
Per un viale di Viareggio
van le passere a passeggio.
Poi faranno un viaggio, oh! un viaggio!
per tornare a Oleggio o a Baggio.
Scende la sera. Dalle lor tane in seta nera sguscian le ciane. Tenera complice la luna pare dalla finestra del lupanare agli occhi azzurri e agli occhi neri dei naviganti e dei nocchieri. Per via gareggiano in rime, canti e rutti i villici con i mercanti. Viaggian gli sposi per monti e mari. Gli spasimanti son sedentari.
Il meccanismo di "tremare-tre/mare" in termini linguistici si chiama -* tmesi.
Su questo meccanismo sono basati, oltre alla sciarada, la pseudosciarada, l'ossimoro nascosto e la parola sepolta.
nota:
Amedeo
Tosetti, autore riscoperto da Gianni
Guadalupi. Gli ibridi della sciarada
su cui vennero costruite le due poesie sono i seguenti: 1. doppia estrazione con unione di estremi (VIAle + passe-GGIo + VIA-re-GGIo
= VIA-GGIo + VIA-GGIo). 2.
frase a sciarada con spostamento
(se-TA NE-ra = se-ra + TA-NE); 3.
sciarada con scambio (lu-P-a-N-are
= lu-N-a + P-are); 4. sciarada a frase con spostamento (N-oCCHI-eri
= oCCHI N-eri); 5. frase a sciarada
con spostamento (I ME-R-canti =
R-IME + canti); 6. sciarada con
cambio di vocali uguali (sp-A-si-mA-nti = sp-o-si + m-o-nti). Con
questo, credo, abbiamo toccato il
fondo. Credo che l'antienigmismo
del Tosetti negli anni '30 del xx secolo sia paragonabile all'antimarinismo dello Stigliani negli anni '30
del XVII secolo. Il carnefice ama la
vittima, il parodiatore è complice
del parodiato.
243 \uta garuta - Gioco letterario giapponese basato sul principio dell'incipit.
Si fa in un numero illimitato di persone, più un capogioco, con due mazzi di 100 carte ciascuno.
Ogni carta del primo mazzo reca (con l'immagine dell'autore; imperatore, bonzo, dama di corte) il testo di una breve poesia (poco più lunga di un haiku). Vedi illustrazione n. 72. Queste 100 poesie sono classiche: in Giappone tutti le sanno a memoria. Ogni carta del secondo mazzo reca (senza immagini) i versi finali delle singole poesie. Le carte del secondo mazzo vengono ordinatamente ma casualmente disposte su un lungo tavolo. I giocatori studiano per un po' la disposizione delle carte.
Il capogioco tiene in mano (celato ai giocatori) il mazzo con le 100 poesie intere. Via via, ne sceglie una a caso, e comincia a recitarla. I giocatori riconoscono la poesia fin dal primo verso, fin dalla prima parola, fin dalla prima sillaba: e con prontezza si impadroniscono della carta sul tavolo con il finale di quella poesia. Vince la squadra che alla fine ne ha prese di più.
Sembra sia impossibile adattare il gioco all'Italia, per mancanza di 100 poesie brevi. Se anche si volesse ripiegare su terzine o sonetti o poco più ci sarebbe un'altra difficoltà: chi sa a memoria da noi 100 terzine o sonetti o poesie brevi?
Se sul tavolo ci fosse, fra le altre 99, la carta con scritto "e il naufragar m'è dolce in questo mare", chi saprebbe impadronirsene con prontezza sentendo recitare "sempre caro mi fu quest'ermo colle"? -o soltanto "sempre...", o soltanto "sem..."?
244 \vanno tardi Piedone e Calibano - Variante del telegrafo senza fili. Si può fare con versi famosi, rispettando due regole:
1. conservare il ritmo, la posizione degli accenti tònici (non necessariamente la divisione in parole);
2. conservare le lettere vocàliche e i dittonghi al posto giusto, cambiando invece con la massima libertà le lettere consonàntiche. Prendiamo per esempio il primo verso della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso: "canto l'armi pietose e 'l capitano". Evidenziamo lettere vocàliche e dittonghi (per iscritto, o meglio a voce): "cAntO l'Armi pIEtOsE E 'l cApItAnO". Teniamo ferma la loro successione: A-O-A-I-IE-O-E-E-A-I-A-O, teniamo ben marcati gli accenti, ripetendo più volte à-o, à-i, ie-ò-e, e, a-i-ào, ào ài ieòe e aiào. Inseriamo lettere consonàntiche a tentoni, cercando di cavarne qualcosa che abbia un qualche senso. Per esempio "vAnnO tArdl pIEdOnE E cAUbAnO", vanno tardi Piedone e Calibano. Magari ai bambini piace; non sanno chi sia Calibano, ma Piedone è Bud Spencer. (Abbiamo delle lettere vocàliche. Cerchiamo di inserire delle lettere consonàntiche, a tentoni. Il meccanismo mentale è lo stesso di quello del gioco delle aiuole. E anche qui si bada, per l'occhio, alle cinque lettere vocàliche, non ai sette suoni vocàlici e ai due semivocàlici). Allora, se voi dite "vanno tardi Piedone e Calibano", qualcuno riuscirà a indovinare il verso giusto che c'è sotto? Provate. Questo è il primo gioco. Per renderlo più facile si parte da frasi notissime e si lasciano intatte alcune parole: "non c'è baratro senza rose, meglio un buono oggi che una cattiva domani" (sabato, sole, uovo, gallina). Secondo gioco: mettete alla prova voi stessi. Dai seguenti versi deformati cercate di risalire a quelli giusti. Non voglio che vi sforziate, ve li indico subito uno per uno.
O carne netta che già fosti un tordo (Francesco Petrarca: "O cameretta che già fosti un porto").
Così lascivi, vispi e vagabondi (il Burchiello: "Nominativi fritti e mappamondi").
Corre il mastino in compagnia del panda (Giuseppe Parini: "Sorge il mattino in compagnia dell'alba").
Rametti di salvia il paria detesta (Goffredo Mameli: "Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta").
La vecchia ha vizi molli (Giosuè Carducci: "La nebbia agl'irti colli"). O carabina, carabina corta (Giovanni Pascoli: "O cavallina, cavallina storna").
Tepente acciaro e vento di chitarre (Gabriele D'annunzio: "Settembre, andiamo. E tempo di migrare").
Ci dubito, ci penso (Giuseppe Ungaretti: "M'illumino d'immenso"). Il terzo gioco sta nel prendere altri versi e nel deformarli. O nel deformar meglio questi stessi.
È un gioco che rende evidente come i suoni vocàlici abbiano maggior peso di quelli consonàntici in italiano. Quattro versi deformati fanno rima con gli originali, quattro fanno assonanza. Controprova. Se chiamiamo questo gioco "telegrafo vocàlico", potremmo chiamare "telegrafo consonàntico" il gioco in cui, con regola inversa, si tenessero ferme le lettere consonàntiche variando a piacere quelle vocàliche. Si è provato: non funziona.
è vero però che, passando ad altri giochi, una specie di "telegrafo consonàntico" è stato proposto come strumento mnemotecnico nel Seicento da Stanislaus von Wennsshein e viene come tale tuttora raccomandato.
Tornando al "telegrafo vocàlico" si raccomanda di invitare giocatori provetti a deformare il famoso verso di Francesco Petrarca
Chiare, fresche et dolci acque.
Avverrà probabilmente che qualcuno dica "piane feste se oggi nacque", che è un ottonario, pia-ne-fe-ste-sog-gi-nac-que, mentre il verso del Petrarca, stando in una canzone, deve essere un settenario, da leggere chià-re-frè-schet-dol-ciàc-que. Pertanto una deformazione opportuna potrà essere "fra le pesche non giacque" o "fare tresche non piacque".
Esercizio correlato, trasformare questo sventurato settenario (7) in ottonario (8), novenario (9), decasillabo (10), endecasillabo (11):
(7) chia-re-fre-schet-dol-ciac-que,
(8) chia-re-fre-schet-dol-ci-ac-que,
(9) chia-re-fre-sche-et-dol-ci-ac-que,
(10) chi'-a-re-fre-sche-et-dol-ci-ac-que,
(11) chi'-a-re-fre-sche-et-dol-ci-ac-cù-e.
Sono mostruosità rese possibili da quella che si chiama -? dieresi. (Dicono i grammatici che la dieresi "ac-cù-e" è assolutamente proibita; ma noi qui non teniamo conto di proibizioni.)
245 \variante di forma - C'era una volta un letterato napoletano che si chiamava Basilio Puoti; teneva una scuola nella quale educava i giovani, in senso "puristico", allo studio severo dei classici antichi e dei Trecentisti. Fra i suoi allievi si ricordano Luigi Settembrini e Francesco De Sanctis.
Sul letto di morte, anno 1847, le ultime parole famose di Basilio Puoti furono:
Me ne vado... Si può anche dire: me ne vo.
"Me ne vo" è una variante di forma, rispetto a "me ne vado", e viceversa. "Vado" e "vo" sono forme verbali, flessioni, che non compaiono nell'ordine alfabetico dei vocabolari, ma vale anche per esse quel che dice lo Zingarelli:
si considera variante di forma di un vocabolo quella parola che presenta, rispetto a un'altra più comune, differenze fonetiche o grafiche ma ha la stessa base etimologica e gli stessi significati, tali quindi da comportare identica trattazione se venisse sviluppata in maniera autonoma e distinta.
Sono varianti di forma e non giochi di parole alcune coppie di parole alle quali ci riferiamo, proprio per escluderle, in vari punti del presente libro.
Qui di seguito ve ne ripeto un po', aggiungendone qualcuna tanto per completare l'ordine alfabetico. Se ne avete voglia potete provar a vedere dove vanno o dove dovrebbero andare. (Per esempio "aero-plano-areoplano" è un caso di -> metàtesi a contatto.)
aeroplano-areoplano
benzinaio-benzinaro
comprare-comp erare
denaro-danaro
Edoardo-Eduardo
forestiero-forastiero
gabina-cabina
infatti-in fatti
lusignolo-usignolo
magazzino-magazzeno
Nicola-Cola
ospedale-spedale
palude-padule
questo-'sto
rabbellire-riabbellire
spelonca-spelunca
tramvia-tranvia
ubbidire-obbedire
vangelo-evangelo
Zola-gorgonzola.
Quasi tutti questi esempi, e gli altri citati qua e là nel presente libro, li trovate in qualsiasi vocabolario di media mole. Qualcuno può usarli ancor oggi, anche parlando un "buon italiano". In realtà, se leggete libri vecchi o se sfogliate la Grammatica storica della lingua italiana del Rohlfs venite sommersi da un diluvio di varianti di forma, letterarie, arcaiche, regionali, dialettali: un diluvio stupefacente. Ma perché stupirsi? Le varianti di forma si riducono a una manciata di casi nell'uso odierno del "buon italiano", dell'italianuzzo che leggiamo e sentiamo nei mezzi di comunicazione di massa, perché la storia della lingua italiana è una storia di progressiva normalizzazione. Nei lavori di redazione editoriale si tende a "uniformare" il più possibile tutto il possibile (come è giusto per i cartelli stradali).
Uniformatevi anche voi, come mi uniformo io. Ma dedicate un pensierino al fatto che i poeti non amerebbero essere "uniformati". Nel canto decimo dell'Inferno in otto versi (42-49) Dante Alighieri dice "fuor, furo, fur" (e quando gli faceva comodo per il computo delle sillabe registrava "impossibilità" accanto a "impossibilitate": -> precipitevolissimevolmente). Francesco Petrarca usa "giovane, giovine, giovene", e quando dice "gioVEne donna sotto VErde lauro" non amerebbe correzioni in "giovine" o in "giovane".
Certo, a volte il redattore, il correttore, con quella matita nervosa in mano, agisce per il meglio. Chi non ama Giuseppe Mazzini e non lo stima, sottolinea sarcasticamente quel fatto della società segreta chiamata "la giovine Italia". Un altro poco amato e poco stimato è Vittorio Alfieri: scriveva
tu il cacciavi, tu spento lo volevi.
Capisco che con "tu lo cacciavi, tu spento lo volevi" saltava l'endecasillabo; ma con "lo-il" aveva altre tre possibilità combinatorie, e quella che ha scelto non è indiscutibile come in Petrarca, son cincischia-menti di penna.
Certe "varianti di forma" a volte vengono considerate -*? allòtropi. Propriamente una coppia di parole dovrebbe star fra gli "allòtropi" quando, pur risalendo alla stessa origine, esse hanno forma diversa, e diverso significato, mentre le "varianti di forma" dovrebbero, appunto, toccare solo la forma, senza intaccare il significato. Ma c'entra sempre una sfumatura stilistica, e dunque certi tagli non possono essere sempre netti.
Se guardate "vertice-vortice" su un buon dizionario etimologico vedete che in latino, in principio, "vertex-vortex" era una variante di forma; poi le due forme si sono stabilizzate assumendo significati diversi, diventando due parole diverse. In italiano "vertice-vortice" son da sempre parole diverse con diverso significato: il ricordo di una origine comune è lontanissimo, sembra incredibile. In greco erano varianti di forma "thàlatta-thàlassa (mare), pràttein-pràssein (fare), téttares-téssares (quattro)". Luciano di Samosata scrisse un Giudizio delle vocali, storia del processo intentato dalla S (sigma) contro il T (tau), colpevole di aver usurpato il posto della S in tante parole. Per punizione il T viene crocifisso, dato che un tipo di croce ha la forma della lettera. (La T maiuscola ha la stessa forma della nostra, anche in greco. Per il tipo di croce vedi la illustrazione n. 73). Può sembrare una storia sciapa, ma era piaciuta a Montaigne.
246 \vartiloga - Facendo l'anagramma di -* travaglio, si possono trovare parole come "giravolta" o "volgarità" e forse altre. Certe combinazioni sono impronunciabili, altre suonano bene, per esempio "vartiloga".
Illustrazione n. 73.
Graffito delle catacombe di San Sebastiano a Roma (III secolo). Alle cinque lettere della parola greca che vale "pesce" (iota, chi, theta, ypsilon, sigma), si accompagna una sesta lettera, la tau, nella riconoscibile forma di T, che sta a indicare la croce: quel tipo di croce "a t" detta anche croce "commissa" o "patibulata". Questa T è collocata, con curiosa libertà di scelta, fra la prima lettera, I, e la seconda, X.
"Vartiloga" è una parola senza senso, un nonsenso come sarchiapone, ma, nascendo come anagramma, suggerisce la possibilità di usare gli "anagrammi nonsènsici" per una caccia al tesoro. Dipende dall'ambiente a disposizione.
Immaginiamo una vecchia casa con una cucina grande, con tanti utensìli appesi al muro come usava una volta. Una nonna con tanti nipotini. dà a ciascuno un foglietto autoadesivo, o più foglietti. Su ogni foglietto sta scritta una parola senza senso, per esempio "taplone". Il bambino che riceve quel foglietto indovina che "taplone" è anagramma (nonsènsico) di "pentola" e corre ad applicare il foglietto su una pentola, stando attento che non sia un paiolo o una padella. Il gioco può riuscire forse anche in un'aula, in un'officina, in un ufficio. Si possono mettere in gioco, su un tavolo, alcuni "oggetti misteriosi", che non si capisca a cosa possono servire e men che mai si possa sapere che nome hanno. Per esempio una licciaiola. Va bene anche la fotografia di un vombato.
In inglese parole equivalenti a "taplone" e a "vartiloga" si usano per il gioco delle "scrambled letters", lettere "strapazzate" come le uova.
Per un altro gioco, il "gioco di ruolo" Katakumbas, è stata disegnata una mappa immaginaria, un bell'esempio di geografia fantastica: l'arcipelago di Laitia: anagramma nonsènsico di "Italia". Se avete fatto gli studi sbagliati negli anni sbagliati vi verrà in mente che Giovanni Prati, bel fiore dell'Ottocento italiano, scrisse una poesia intitolata I fiori, inviando pensieri d'amore a una donna chiamata Atilia per eludere la censura austriaca. Forse Atilia è corretto, forse è una pronuncia veneta di "Attilia". Giovanni Prati era di Dasindo; in quelle terre, in quegli anni, nelle lunghe notti d'inverno, facevano anche anagrammi come "Vittorio Emanuele, il Veneto è tuo! ". In Laitia, non Atilia, dall'Alta Svoda alla Zolia (dalla Val d'Aosta al Lazio), non è difficile orizzontarsi. Anzi, forse, che Sacanto sia Toscana è fin troppo facile. Ma che Isolazza di Brucheromme sia Marche, Abruzzi, Molise, non è facile arrivarci.
247 \vénti-vènti - Tanti anni fa, ai tempi della guerra d'Abissinia (1935-36), si raccontava una barzelletta. Mussolini telefona al maresciallo Graziani e grida: "Perché avete fermato la nostra avanzata?". Risponde Graziani: "Sono arrivati i monsoni". Mussolini: "Sterminateli!". Graziani: "Ma sono venti!".
Mussolini: "E avete paura di venti straccioni negri? Fossero anche ventimila, sterminateli!".
Non era propriamente una barzelletta "antifascista" (di quelle che raccontavano gli antifascisti e i fascisti: soprattutto i fascisti, anche perché di antifascisti veri in quegli anni ne circolavano pochi, e non avevano voglia di raccontare barzellette). Era piuttosto una barzelletta anti-settentrionale. Mussolini, come molti settentrionali, non rispettava o non conosceva la differenza fra la E stretta e la E larga. Graziani, nato a Filettino (Frosinone), distingueva bene, istintivamente, la E larga di "vènti", plurale di "vènto", dalla E stretta di. "vénti", numero. In quegli anni Giuseppe Lugo cantava "vènto, vènto" con una E larghissima (nel film di Guido Brignone La mia canzone al vento, 1939; la canzone era di Bixio-Cherubini). Ma molti cantavano un'altra canzone, "Tu non mi lascerai, perché ti voglio bene", di D'Anzi-Galdieri, pronunciando "perchè" con una E larga, prosperosa, giunonica, e "bène" con una E stretta, attillata, aguzza.
è meglio di una barzelletta questa poesia di Edvige Pusineri, anteriore al 1925, intitolata Alla Maestra del Giardino dell'Asilo:
A Lei, Signora, che con fede amica per la gioia dei bimbi si affatica, noi rivolgiamo l'augurio sincero: della sua vita sia lieto, il sentiero! Le conceda il bambino tanto bene; per Lei sorga il nuov'anno senza pene.
Un altro settentrionale, padovano, Arrigo Boito, un giorno del 1884 entra in una trattoria sul colle di Superga (Torino) con altri due settentrionali: Giovanni Camerana (di Casale Monferrato) e Giuseppe Giacosa (di Colleretto Parella, dal 1953 Colleretto Giacosa, provincia di Torino). Si siedono a un tavolo. A un altro tavolo vedono che c'è Eleonora Duse con il marito Tebaldo Cecchi e Giovanni Verga (a questo secondo tavolo si parla un misto di italiano teatrale e di italiano-siciliano: ma questo non c'entra con la nostra storia). I tre settentrionali vogliono andare a sedersi all'altro tavolo. Il Boito prende un foglio di carta:
Noi siamo tre romei:
Madonna, fa che si diventi sei. 6
Scesi dall'Alpi algenti,
ove dan morte turbinando i venti, 20
qui ne venimmo dove
preghiam del viso tuo dolcezze nove. 9
Fa' che tu ne promette
sul bel colle, lontan dall'empie sètte 7
tanto dall'occhio bruno
che sembri dire: d'intorno a me v'aduno" 1
e ne farà felici,
se "l'assenso richiesto a voi dò," dici. 12
Che, se rivolgi ad altre
estranie cose le pupille scaltre, 3
noi sentiremo il fiotto
stagnar dal core, e piangerem dirotto. 8
A questo punto, il lettore è pregato di tirare una riga sotto l'ultima cifra, e di far la somma. Il risultato è 66; e infatti Arrigo Boito conclude:
Esaudi i tre romei,
se buona, se gentil se santa sei. 66
"Nove" numero e "nove" per "nuove" hanno entrambi la O larga. "Sette" numero e "sette" plurale di "setta" hanno entrambi la E larga. "Tre" numero ha la E stretta e così pure è stretta la E finale di "scaltre". Ma in "dò, dici" la O è larga, in "dodici" numero la O è stretta. E soprattutto ancora una volta i settentrionali non distinguono i "vènti" plurale di "vènto" con la E larga da "vénti" numero con la E stretta. La cosa importante però è un'altra: la Duse avrà letto ad alta voce i versi del Boito mettendo le vocali giuste al posto giusto con la sua voce da attrice "italiana", e nessuno avrà fatto caso a pedanterie di vocali larghe o strette. Far pedanterie è da barzellettai toscani.
Nella classificazione dei giochi di parole dovremmo essere al punto E: -> omògrafi non omòfoni per fonèma.
Dico "dovremmo" al condizionale perché, come il gioco di -> colla colla (e come quelli di -> presento-presento, di -* razza-razza), questo gioco di "venti-venti" ha un funzionamento limitato, funziona solo in alcune regioni d'Italia, funziona solo all'orecchio (per chi lo sente), non funziona all'occhio: funzionerebbe se usassimo le 30 lettere dell'alfabeto afi (e allora diventerebbe un gioco come lava-leva). È un gioco orale in senso stretto.
Se, usando le 30 lettere dell'alfabeto afi, avessimo due lettere diverse per la E stretta e per la E larga, non staremmo a farci tremare le orecchie per lo sforzo di sentire la differenza tra E stretta e E larga: la sentiremmo bene perché da sempre l'avremmo anche vista.
Quanto a vista, la differenza fra E stretta e E larga si potrebbe in certi casi rendere evidente, usando i due diversi tasti "è" e "è", con segnaccento acuto o grave che ci sono su tutte le macchine da scrivere. Ma non è coi tasti delle macchine da scrivere che si raddrizzano le gambe ai cani. Allora giochiamo. Prendete un foglietto.
Prendete un foglietto, e coprite la seconda colonna degli esempi che seguono. Provate a vedere quante volte indovinate quale sarebbe la pronuncia "giusta". Se non avete la pronuncia "giusta" non dovete credere di avere una pronuncia "sbagliata": avete una pronuncia regionale. Agli stranieri che vengono a soggiornare in Italia per imparare l'italiano non si consigliano più Firenze o Siena: si consiglia di scegliere, "quando una scelta si impone, un modello italiano settentrionale, che è venuto acquistando più prestigio di altre varietà". Una cosa è certa: si procaccia prestigio zero chi si sforza di dire "perché, bène" quando si sente, oh se si sente!, che a casa sua dice "perchè, bène".
E importante: "elementi geograficamente o socialmente dialettali possono essere deliberatamente cancellati dal parlante o, al contrario, orgogliosamente evidenziati": fate quello che vi pare, ma non crediate che esista un italiano "giusto".
Quand'anche vogliate perseverare nel mito della pronuncia "toscana" tenete presente che per esempio a Firenze dicono "néve, fòlla" a Siena dicono "néve, fólla".
accetta é scure, è da accettare
affetta é taglia, è ostenta
affetto é taglio, è passione e io ostento
arena é sabbia, è luogo di spettacoli
collega é pari-grado, è da collegare
corresse é da correre, è da correggere
credo é da credere, è professione di fede
creta é terra, è isola
esca é cibo, è da uscire
esse é pronome, è nome della lettera S
feci é da fare, è escrementi
legge é norma, è da leggere
lessi é da lessare, è da leggere
mele é pl. di mela, è miele
mente é nome, è da mentire
mento é nome, è da mentire
messe é riti cattolici, è mietitura
mesto é da mestare, è triste
meta é sterco, è fine
pene é pl. di pena, è membro virile
pesca é da pescare, è frutto
peste é orma, è malattia
premetti é da premettere, è da premere
re é monarca, è nota musicale
rene é pi. di rena, è rognone
tema é timore, è argomento
venti é numero, è atmosferici
Séme-gème (Dante Alighieri) è rima per l'occhio; légge-légge (Dante Alighieri) è -> rima per l'occhio e -? rima equivoca. Se non si distingue la E stretta dalla E larga, il gioco diventa quello del sei-sei.
Gli enigmisti italiani usano l'etichetta "cambio d'accento" sia per questo gioco, sia per quello di colla-colla. Alcuni lo danno per estinto.
248 \versi per-versi - Anagrammando verso per verso una poesia si possono avere versi-per-versi, o versi perversi.
Carmelo Filocamo ha scritto così una antologia anagrammàtica della poesia italiana;1 poi, aggiustando il tiro, ha scelto 15 versi dai Canti di Giacomo Leopardi, li ha anagrammati uno per uno, e ne ha cavato un centone: una nuova poesia, notevolmente leopardiana. Citerò un solo esempio: "fratelli a un tempo stesso, Amore e Morte" diventa "e sto / malato e mesto sempre a nutrir fole".
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