La Storia dell’architettura 1905-2008 Di Luigi Prestinenza Puglisi


Saarineen: tra storia e tecnologia



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1.5 Saarineen: tra storia e tecnologia


Grazie al successo che riscuote il campus della General Motors, completato nel 1956, Eero Saarinen si trova ad affrontare nuove commesse provenienti da giganti quali la IBM, la Bell, la Deere & Company. Saranno occasioni per approfondire la ricerca sui materiali e sui componenti e per sperimentare nuove forme. Nell’edificio della IBM di Roechester (1956-1958), per esempio, mette a punto un pannello ancora più sottile di quello adoperato per gli edifici della General Motors e sperimenta , con pannelli segnati da strisce azzurre e blu alternate, l’uso del colore, intendendolo in funzione puramente decorativa e sollevando così le obiezioni di alcuni critici ancora fermi al mito funzionalista che vede, loosianamente, qualsiasi ornamentazione come un delitto. Sempre per l’IBM, nel Thomas J. Watson Research Center (1956-1961), introduce una forma curvilinea e alterna i freddi pannelli del curtain wall con muri in pietra. Infine, nello splendido edificio della Deere & Company (1956-1964) inventa un brise soleil in ferro corten che dà profondità alle facciate dell’edificio e, con un misurato gioco di chiaroscuri, contribuisce all’ inserimento nel paesaggio circostante, a sua volta oggetto di una felice opera di landscaping, opera dello studio Sasaki & Walker. Saranno queste opere che gli faranno vincere numerosi premi e contribuiranno alla crescente fama dell’architetto: per esempio sulla Deere & Company l’antropologo Edward Hall scriverà un saggio dal titolo The Fourth Dimension in Architecture: The Inpact of Building on Man’s Behavior ( La quarta dimensione in architettura: l’impatto di un edificio sul comportamento umano), nel quale cercherà di dimostrare come in questo edificio si celebri un punto di equilibrio tra uomo e ambiente, quale non si raggiunge in altri uffici, per quanto firmati da architetti importanti.

Tuttavia saranno quattro opere, che poco hanno a che vedere con la progettazione industriale, che renderanno Saarinen un personaggio controverso, amato dagli innovatori e osteggiato dai puristi dell’International Style che lo accusano di giocare con forme appariscenti e poco motivate, insomma arbitrarie.

La prima e' l’auditorium del MIT fiancheggiato da una cappella destinata a funzioni religiose (1950-1955). Per l’auditorium Saarinen sceglie una vela in cemento armato che occupa mezzo acro di terreno, e' lunga oltre 50 metri ed alta più di 15 nel cui interno trovano posto al piano inferiore un teatro e a quello superiore una sala per musica di 1238 posti. La cappella e' invece un edificio cilindrico in mattoni, leggermente incassato rispetto al terreno, caratterizzato all’esterno da un giro di archi e all’interno da una vibrante scultura metallica, disegnata da Harry Bertoia. Non si potrebbe immaginare un contrasto più efficace di forme: da un lato una avveniristica, quale la vela, aperta alla luce e realizzata in cemento armato e, dall’altro, una semplice, quasi arcaica realizzata con un materiale antichissimo quale il mattone. Bruno Zevi, in un articolo pubblicato su l’Architettura, sintetizza lo sgomento degli addetti ai lavori davanti a questi due insoliti edifici con una frase di Eugenio Montuori “ già eravamo confusi tra il funzionalismo e l’approccio organico, tra Le Corbusier e Wright. Adesso arriva Saarinen che predica il più totale irrazionalismo”. E il critico stesso considera l’opera un errore, anche se interessante come lo può essere il progetto,per quanto sbagliato, di uno dei più bravi architetti della sua generazione.

In realtà, più che un errore, la vela e il cilindro per il MIT esplicitano una nuova condizione. Quella del progettista degli anni Cinquanta in bilico tra due alternative: tra il recuperare il rapporto con il passato, la storia, e il continuare una ricerca che pone in primo piano l’innovazione tecnologica. Saarinen diversamente da Louis Kahn, che come vedremo punterà direttamente sulla storia, rifiuterà di fare una scelta unilaterale e cercherà una strada per contemperarle entrambe.

A cominciare dallo stadio per l’Hockey che realizza a Yale tra il 1956 e il 1959 ( e' interessante notare la coincidenza che, oberato dal lavoro, Saarinen nello stesso periodo non può accettare di realizzare l’ampliamento della Yale Art Gallery per la quale, al suo posto, propone Louis Kahn: ne parleremo nel prossimo paragrafo). Lo stadio ha una forma inusuale. Sembra quasi una balena; ricorda anche una pagoda, soprattutto nella zona in cui il tetto quasi si apre per fare spazio all’ingresso. E che vi sia un’aria orientale lo testimonia il fatto che da lì a qualche anno Kenzo Tange userà forme simili per i palazzetti dello sport destinati alle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Lo stadio per l’Hockey risente, infatti, di un nuovo sentire plastico, distante dagli stereotipi formali che avevano caratterizzato gli anni precedenti: lo stesso che porta Niemeyer a realizzare gli edifici di Brasilia (1958-60), Wright a progettare la Sinagoga Beth Solomon ad Elkins Park (1959) e Utzon a disegnare la Sidney Opera House, un progetto, tra l’altro, ben conosciuto da Saarinen che, in qualità di giurato del concorso avvenuto nel 1957, lo sponsorizza, determinandone la vittoria.

Il terzo progetto controverso disegnato da Saarinen e' il Morse and Stiles Colleges (1958-62), sempre a Yale. Il complesso si confronta con il contesto circostante: da qui una esedra che ricorda modelli della tradizione classica e due corti che hanno la funzione di raccordare la nuova costruzione con gli edifici preesistenti. Anche la scelta dei materiali e' originale: un calcestruzzo con all’interno sassi di varie misure –l’espediente e' ripreso da Wright che lo ha utilizzato a Taliesin-che lo fanno apparire come un materiale più naturale che artificiale. Mentre a esaltare l’impatto plastico dell’organismo provvede il gioco delle possenti masse murarie avanzanti e rientranti a formare una composizione che da alcuni e' stata definita neo-gotica. Tuttavia, per quanto saturo di riferimenti storici il complesso ha un’aria decisamente moderna e sicuramente erronea, come riconoscerà successivamente, e' la critica di Reyner Banham il quale, definendolo disgustoso, aggiunge: “è difficile immaginare un più lampante, a buon mercato e malvagio modo di stilizzare il cemento armato per farlo apparire romantico”.



Non meno polemiche, anche se molti non esiteranno a definirlo uno dei più felici capolavori del dopoguerra, susciterà il Trans World Aerlines Terminal della TWA a New York (1956-62). In questa struttura, Saarinen, evita citazioni troppo esplicite all’architettura del passato per suggerire l’idea stessa del volo. Ma lo fa realizzando una struttura che ricorda vagamente, negli spazi interni, le possenti armature romane: “l’edificio della Twa – dirà nel 1961 prima di ammalarsi- sta cominciando ad apparire meraviglioso. Se qualcosa succederà e si dovesse decidere di lasciare incompiuti i lavori lasciandoli allo stato in cui sono adesso, apparirà come una bella rovina, come le terme di Caracalla”. Un riferimento che non basterà a placare le ire di critici quali Vincent Scully o Alan Colquhoun che vedono il Terminal come una mera operazione pubblicitaria, un biglietto da visita della TWA buono solo a soddisfare un pubblico assetato di novità. Eppure, come sostiene Kauffmann, e' una delle poche realizzazioni che presenta uno spazio interno straordinariamente affascinante e complesso, una orchestrazione di forme curve immediatamente comprensibili all’osservatore per la loro corrispondenza bilaterale attorno a un ambiente centrale dove la luce penetra da ogni direzione. Insomma un capolavoro che mostra come rinnovare la tradizione del Movimento Moderno senza cadere nella nostalgia della storia e del monumentalismo, due temi che a partire dagli anni Sessanta, domineranno buona parte del dibattito architettonico al quale purtroppo lui, Eero Saarinen, il progettista più dotato della sua generazione, non potrà partecipare perché si spegnerà nel 1961, ad appena 51 anni.



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