La Storia dell’architettura 1905-2008 Di Luigi Prestinenza Puglisi



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1.10 Inquietudini italiane


E’ durante la seconda metà degli anni Cinquanta che si completano la Bottega di Erasmo di Gabetti e Isola a Torino, la Palazzina INAIL di Samonà a Venezia, la Casa alle Zattere di Gardella a Venezia, la Torre Velasca di BBPR a Milano. Sono opere orientate in senso storicista, se non nostalgico, che segnano il definitivo distacco dell’architettura italiana dalle ben più interessanti ricerche , sia in senso espressionista che neobrutalista, che si sviluppano negli stessi anni negli Stati Uniti e in Europa.

La Bottega di Erasmo (1953-1956), realizzata a Torino da Gabetti e Isola, si inserisce nel contesto urbano, segnato dalla presenza della Mole dell’Antonelli, ostentando una vocazione decorativa ai limiti del kitsch per il compiaciuto gioco dei dettagli, per la pluralità dei materiali, per la presenza di elementi costruttivi desueti quali i bovindo. Non mancano allusioni all’ordine gigante con fasce di mattoni a cui sono intervallati spigolosi balconi decorati con parapetti in ferro battuto o con coppie di lastre di cemento simmetricamente disposte ma tra loro leggermente scostate, al fine di realizzare un’ulteriore vibrazione chiaroscurale con un linguaggio ammiccante e compiacente, non privo di riferimenti neomedioevali .

La Palazzina dell’INAIL di Samonà a Venezia (1950-1956), pur senza cadere negli eccessi decorativi di Gabetti e Isola, punta sulle variazioni cromatiche e sugli effetti chiaroscurali per inserirsi nel difficile contesto lagunare. Da qui l’alternarsi del cemento e della pietra, l’uso di colori quali il rosso, il blu,il bianco e il grigio e il delicato susseguirsi di rientranze e di sporgenze con ritmi anche minuti ma, comunque, gestiti all’interno di un disegno unitario.

Nella Casa alle Zattere a Venezia (1954-1958) Gardella mette in scena uno studiato andamento pittorico caratterizzato dalle elegantemente disposte, ma apparentemente casuali, bucature dei prospetti. A rendere contestuale l’opera, provvedono i balconi i cui parapetti hanno un disegno – a dire il vero, non poco stucchevole- che ricorda i merletti veneziani. Composta, come molte altre opere del periodo, da un basamento ( in questo caso punteggiato da una duplice fila di finestrelle romboidali), da un corpo centrale e da un coronamento con tetto inclinato, la Casa alle Zattere “vibra all’unisono con le cortine dell’edilizia veneziana che si affaccia sul canale”, tuttavia testimonia della incapacità creativa dettata da un atteggiamento alla fine suicida che, piuttosto che reinterpretare la storia e la tradizione, come per esempio aveva fatto Wright con il Masieri Memorial progettato nel 1953 sul Canal Grande ma mai realizzato per ottusità burocratiche, si limita a fargli il verso.

La Torre Velasca (1950-1958) di BBPR rappresenta per molti commentatori, una delle massime opere italiane del periodo. Con il suo aspetto vagamente neomedioevale, quasi da antica torre comunale, sottolineato dalla struttura portante a vista che ricorda quella degli edifici gotici, rappresenta uno dei principali landmark del panorama urbano milanese. Paragonata con il coevo Seagram building di Mies van der Rohe (1954-1958) testimonia della oramai abissale distanza che separa le ricerche italiane da quelle americane o europee.

Con il numero di aprile-maggio del 1957, la rivista Casabella Continuità si fa promotrice delle nuove istanze pubblicando, oltre a un bilancio dell’esperienza del quartiere Tiburtino di Quaroni e Ridolfi, i lavori di Ridolfi tra cui le Torri di viale Etiopia, la Bottega di Erasmo e la Borsa Valori di Gabetti e Isola, una recensione di un volume di Tuschuoli Madsen, Sources of Art Noveau, sul Liberty e un saggio sulla Scuola di Amsterdam. Il numero sancisce, di fatto, la nascita di un movimento che investirà numerosi architetti, soprattutto dell’area piemontese e lombarda e verrà chiamato Neoliberty, con un nome che Paolo Portoghesi conierà l’anno successivo.

Contro il Neoliberty, con un articolo apparso nell’aprile del 1959 sul The Architectural Review, si scaglia Reyner Banham, che accusa l’Italia di ritirata dal Movimento Moderno. Secondo il critico, i lavori di Gabetti e Isola nonché di altri giovani architetti che gravitano intorno a Casabella Continuità , quali Gae Aulenti, Gregotti, Meneghetti, Stoppino, e gli articoli a loro difesa scritti da Aldo Rossi rappresentano un fatale passo indietro. L’accusa di Banham e', per quanto severa, circostanziata. Evita di fare di tutta un’erba un fascio: dalla critica sono esclusi Quaroni con il villaggio la Martella, il Moretti della Casa del Girasole e non e' toccato, se non come direttore della rivista, Rogers. Lo scritto, non accenna, infatti, alla Torre Velasca ( che sarà, invece, oggetto di fortissime critiche, ai successivi incontri del CIAM). Ciò non evita la pronta e risentita la reazione di Rogers che si sente attaccato in prima persona in quanto punto di riferimento dei nuovi fermenti storicisti: risponde con un articolo apparso su Casabellla Continuità nel giugno del 1959. Accusa Banham di essere un custode dei frigidaries. Rivendica l’importanza della ricerca italiana e di “tutti coloro che tentano di evadere…il conformismo e il formalismo”: Gardellla, Ridolfi, Micheluccci, Albini, Samonà. Sostiene che se il termine di Neoliberty si può applicare alla Bottega di Erasmo di Gabetti e Isola, per gli altri giovani si dovrebbero utilizzare altri riferimenti: per esempio, il neoespressionismo olandese per l’Aulenti e l’eclettismo boitiano e berlaghiano per Gregotti. Ammette, infine, qualche eccesso. Ma sostiene che cambiamenti, non meno rilevanti, si registrano anche nelle architetture dei Maestri: “Le Corbusier ha creato Chandigarh con l’eco di tutta l’India, Gropius l’Ambasciata di Atene, immersa nella storia greca, Mies un monumento con il grattacielo di Park Avenue a New York e Wright, prima di morire, aveva disegnato opere che pur conseguentissime nello spirito, non potrebbero essere confinate nella lettera di tante sue dichiarazioni precedenti”.

1.11 Altre tendenze in Italia


Non tutta l’architettura italiana della seconda metà degli anni Cinquanta e' percorsa da ansie storiciste. A Milano, Vittoriano Vigano realizza l’Istituto Marchiondi Spagliardi (1953-1957): vigorosamente scandito da setti in cemento armato a faccia vista, risente della poetica brutalista di le Corbusier e degli esponenti del Team 10.

Al Le Corbusier del piano Obus di Algeri si ispira Carlo Daneri nel quartiere di Forte Quezzi (1956-1958), un segno alla scala territoriale che si adagia sulle curve di livello del movimentato paesaggio genovese.

Nel 1959, Quaroni licenzia il progetto per il quartiere CEP alle Barene di San Giuliano a Venezia-Mestre proponendo alcuni grandi edifici a corte, a forma circolare, aperti verso il paesaggio lagunare: una decisa autocritica rispetto alle precedenti posizioni neorealiste, alla poetica intimista del borgo e dell’unità di vicinato attraverso il recupero del disegno alla grande scala, e una decisa scelta di campo per un approccio orientato in senso paesistico, secondo una strategia sperimentata da Kenzo Tange nei progetti per la baia di Tokyo e dagli americani sensibili alle teorie dell’Urban Design.

Vi sono poi le grandi opere di ingegneria: gli eleganti viadotti realizzati da Morandi e le esili strutture in cemento armato progettate da Pier Luigi Nervi: tra queste lo stadio Flaminio(1958-59) a Roma costruito in occasione delle Olimpiadi del 1960. Tra il 1955 e il 1958 lo stesso Nervi, in collaborazione con Arturo Danusso, progetta le strutture di un’opera di Gio Ponti che, per molti aspetti, rappresenta l’antitesi alla Torre Velasca: il Grattacielo Pirelli. Moderno e tecnologicamente ineccepibile, grazie ad un curtain wall in alluminio color argento, il grattacielo di Ponti non cade in alcuna trappola sentimental-storicista. Nello stesso tempo, si distacca dalle secche dello stile internazionale, evitando la banalità del prisma scatolare vetrato. Il collocamento di due scale di sicurezza a pianta triangolare nelle testate, oltre ad un efficiente sistema di deflusso in caso di evento calamitoso, determina, infatti, in alzato, la realizzazione di due fasce di muratura, sfuggenti perché inclinate. Hanno il delicato compito di inquadrare il curtain wall, eliminando l’effetto glass-box nonché di dissolvere i prospetti laterali riducendoli a un semplice e sottile taglio, un vuoto che si manifesta in forma di ombra rendendo l’edificio esile e svettante.





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