La Storia dell’architettura 1905-2008 Di Luigi Prestinenza Puglisi



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1.12 Due poeti: Scarpa e Michelucci


Figura a sé stante e' il veneziano Carlo Scarpa. Accomunato a Ridolfi dalla passione per la tradizione artigianale e a Rogers per l’attenzione al passato, Scarpa li supera entrambi per potenza poetica ed espressiva e per una intensità di dialogo con la contemporaneità che riesce a metabolizzare la lezione dei grandi Maestri. Con la casa Romanelli di Udine (1950-55) Scarpa sembra orientarsi decisamente per l’architettura organica , riprendendo sin troppo scopertamente il lessico di Wright , tanto da sfiorare, come ammetterà più tardi, “il limite dell’adulazione”. Esercizi in stile wrightiano sono gli interventi ai giardini della Biennale di Venezia: il Padiglione provvisorio del libro (1950), la Biglietteria e il Nuovo ingresso (1952), la Corte giardino del Padiglione Italia (1952) e il più maturo Padiglione del Venezuela (1954-56), ottenuto dallo slittamento di due prismi, che si smaterializzano entrambi nella zona superiore con una finestra-lucernario in cui il vetro e' alternato a fasce piene.

Nella Galleria nazionale di Palazzo Abatellis a Palermo (1953-54) Scarpa si trova a dover dialogare insieme con la preesistenza, un edificio di Matteo Carnalivari, e, insieme, con le opere d’arte. Li affronta concependo il proprio intervento come medium che lega entrambi in una sintesi, a permettere la quale e' la sensibilità artistica del progettista il quale solo può organizzare un percorso a reazione poetica, valorizzando ogni punto di vista e il segreto gioco di corrispondenze degli oggetti tra loro e di questi con la luce. A tal fine mette all’opera uno straordinario talento artigianale che gli consente di evitare soluzioni stereotipate, realizzando caso per caso gli apparati scenografici – dal fondo al supporto- che soli possono rendere la fruizione delle opere d’arte un’esperienza irripetibile. Il risultato e' un unicum, immodificabile in cui architettura e opere d’arte si fondono. Da qui l’immenso fascino ma anche la scarsa funzionalità degli allestimenti scarpiani che non tollerano il più piccolo aggiustamento, la minima sostituzione nel tempo, pena la perdita di quell’aura che l’architetto artista e' stato capace di realizzare con un così complesso gioco di corrispondenze e relazioni.

Nella casa Veritti a Udine (1955-61), Scarpa riprende il lessico wrightiano, soprattutto nei partiti decorativi, ma per separarsene definitivamente. L’insieme, infatti, piuttosto che ricordare il disegno disteso delle Prarie o delle Usonian, appare come un collage di frammenti, un insieme elegante ma estenuato di forme. Un esercizio di scrittura, di sapore manierista, dove le diverse geometrie e i materiali sono fatti interagire, a volte scontrare tra loro, al fine di sondarne la compatibilità.

Nel negozio Olivetti di Venezia (1957-58) Scarpa interviene in un ambiente stretto e lungo articolandolo magistralmente con un secondo piano a cui si accede tramite una scala i cui gradini, realizzati con spessi masselli in pietra, quasi librano nell’aria, ricordando la scomposizione per piani di De Stijl. Scandisce le pareti con pannelli chiari ritmati da fasce in legno o dai vuoti delle finestre, allineati tutti a una stessa quota grazie ad un sottostante basamento in pietra grigia che ha il compito di proteggere i muri dall’acqua alta. Inventa un nuovo tipo di pavimento alla veneziana realizzandolo con inserti rettangolari in marmo colorato. Disegna le vetrine come se fossero dei vassoi sui quali esporre i preziosi prodotti della Olivetti. Gioca con i chiaroscuri grazie alle trame dei grigliati in ferro e in legno. Rendendo incantato, quasi magico, il clima che si respira nel negozio, Scarpa riesce così, nello stesso tempo, a celebrare l’unicità del luogo – piazza San Marco- e del design di uno delle più importanti imprese che nell’Italia del dopoguerra hanno il coraggio - grazie ad un imprenditore illuminato: Adriano Olivetti- di puntare sull’innovazione.

Nel museo di Castelvecchio a Verona (1958-64) Scarpa ripete il miracolo di Palazzo Abatellis. Di un virtuosismo senza pari e' il disegno degli interni. Ma l’invenzione e' nella scelta di lasciare all’esterno l’edificio incompleto , collocando in una posizione strategica la scala equestre di Cangrande della Scala. La statua riacquista il fascino della propria passata grandezza mentre il rapporto con il non finito dell’edificio suggerisce, romanticamente, la dirompente tragicità della storia.

Estenuata in un gioco di preziosi dettagli è la Fondazione Querini-Stampalia (1961-63) di Venezia dove Scarpa riesce a trasformare in un indimenticabile spettacolo anche l’inconveniente dell’acqua alta, canalizzandola in percorsi che corrono dentro l’edificio. Gli fa da contrappunto la non meno spettacolare vasca del cortile interno, non priva di richiami alla cultura giapponese.

Dotato di un inesauribile temperamento creativo e' Giovanni Michelucci. Nel capitolo precedente lo abbiamo visto impegnato con le opere della ricostruzione nel centro storico di Firenze. Negli stessi anni disegna la Cassa di Risparmio di Firenze (1952-57). E’ un edificio che ruota intorno a un salone principale , progettato come fosse una piazza su cui si affacciano gli altri ambienti interni. Progettato in sezione, lo spazio e' scandito, così come avviene nei migliori edifici toscani, dall’ordinata sequenza dei pilastri. A fargli assumere una valenza espressiva provvede la copertura inclinata, ritmata da travi triangolari intervallate da voltine per creare decisi effetti chiaroscurali e il gioco della luce diretta che arriva dai lati, come all’interno della navata di una chiesa.

Interessato alla dialettica degli spazi, alla dinamica dei percorsi, all’informalità del gesto creativo che permette all’architettura un dialogo originario con la natura, Michelucci realizza diverse chiese: a Collina di Pontelungo (1952-54), al villaggio operaio di Larderello (1954-57), al villaggio Belvedere a Pistoia (1960-63), sull’Autostrada del Sole a Campi Bisenzio (1961-64).

Quest’ultima e' sicuramente il suo capolavoro. Concepita come una tenda, un momento di sosta transitorio lungo la strada, la chiesa si impone per la sua coinvolgente espressività, sottolineata all’esterno dal contorcersi delle curve e dalla forte matericità delle pietre, del rame, del cemento armato. Mentre all’interno si e' conquistati dallo spazio avvolgente che si snoda - punteggiato dalle forme organiche delle strutture, scolpite come se fossero le ossa di un gigantesco animale - lungo un percorso che conduce sino all’altare in una sorta di pellegrinaggio architettonico, che ha un suo antecedente nella promenade lecorbusieriana ma e' filtrato attraverso l’ottica espressionista di uno Scharoun, di un Kiesler o, se vogliamo, di un artista informale.



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