La Storia dell’architettura 1905-2008 Di Luigi Prestinenza Puglisi



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1.16 Johansen e l’informale


John Johansen studia alla facoltà di Harvard sotto la direzione di Walter Gropius, dove si laurea nel 1939. Suoi compagni di corso sono Ieoh Ming Pei, Paul Rudolph, Bruno Zevi. Segue un apprendistato negli studi di Skidmore, Owings & Merrill e di Wallace Harrison, in quel periodo impegnato, insieme- ma sarebbe meglio dire: contro- Le Corbusier, alla realizzazione del progetto del palazzo delle Nazioni Unite. Tra il 1955 e il 1960 insegna a Yale, in un momento magico in cui vi confluiscono personalità diverse, tutte orientate a mettere in discussione i dogmi dell’International Style: Louis Kahn, Philip Johnson, Eero Saarinen, Paul Rudolph, il critico Vincent Scully ( frequenta Yale anche il giovane inglese James Stirling: dei suoi progetti ne parleremo tra poco). Nel 1955 Johansen scrive sulla rivista “Architectural Record” un saggio dal titolo, Space-Time-Palladian, che denuncia una inclinazione in senso neoclassico. Inclinazione che si concreta nella realizzazione di alcune abitazioni realizzate sui presupposti dei principi di ordine, ritmo, simmetria, come per esempio la Villa Ponte (1957), sospesa – appunto come un ponte- sopra un corso d’acqua. Colpito dalla Chiesa di Ronchamp realizzata da Le Corbusier, dal palazzo del ghiaccio di Yale di Saarinen, dagli esperimenti di Kiesler sulla Endless House, dagli echi della scissione del Team 10 e dalla nuova sensibilità artistica che porta alla pittura informale, Johansen affianca alle ricerche neo-palladiane anche una intensa produzione di abitazioni biomorfiche, insieme organiche e informali, realizzate con gusci ottenuti attraverso la tecnica del cemento armato spruzzato da lui sperimentata per la American Concrete Association e descritta nel manuale Sprayed Concrete Construction (1955).

Lo Spray House Project #2 del 1955 rassomiglia a un fiore avvolto da petali che lo proteggono, attraverso i quali filtra la luce del sole. Pavimenti e pareti e soffitti si susseguono in forme voluttuose senza soluzione di continuità, diventando all’occorrenza anche i supporti in muratura per i letti, i divani e gli altri mobili della casa.

Nel 1956 Johansen ne realizza, per la fiera mondiale di Zagabria, una versione semplificata, ma, in assenza di un idoneo cemento, e' costretto a utilizzare una armatura di supporto compromettendo il presupposto strutturale del guscio autoportante, studiato insieme con l’ingegnere Mario Salvatori. Sempre nel 1956, progetta la Spayform Weekend House, un guscio dalla forma semplificata che, nella distribuzione in pianta, ricorda la Dymaxion House di Buckminster Fuller, il geniale inventore anch’egli gravitante intorno all’Università di Yale.

Le abitazione biomorfe di Johansen influenzano i giovani architetti più sperimentali. Tra questi gli inglesi Archigram della cui produzione parleremo in un prossimo paragrafo. Uno di loro, Michael Webb, scrive nel 1957: “Johansen era il nostro eroe: ogni suo progetto era una innovazione non solo rispetto alla normale passi, ma anche rispetto alle sue opere precedenti. Che straordinario amante del rischio! Che magnifico giocatore!”.

Progettista versatile, Johansen realizza anche opere meno futuribili, ma sempre di altissima qualità, tra queste l’Ambasciata americana a Dublino (1964), il Clowes Memorial Hall and Opera House (1964-66) e il Florence Virtuue Housing (1965). Altre ne seguiranno: per esempio la Goddard Library del 1968, articolata in un magistrale gioco dei volumi neoespressionisti che ricorda le parallele e non meno brillanti realizzazioni di Rudolph quali l’Art and Architecture Building a Yale (1958-64).

Ad affascinare Johansen e' soprattutto la sperimentazione di forme innovative. Nel 1960 progetta una casa cinetica, composta da un nucleo centrale fisso sul quale si innestano corpi che si muovono lungo binari. A partire dal 1965 ( sarà completato nel 1970) lavora al suo capolavoro: Il Mummers Theater ad Oklahoma. L’idea e' ripresa dai congegni elettronici dove i componenti sono inseriti in uno chassis e collegati tra loro attraverso fili. Nel Mummers i componenti sono le sale teatrali e i fili i percorsi. Da qui un insieme frammentato ma estremamente vitale, un piacevole caos di volumi serventi e serviti sottolineato anche dai materiali - il cemento e le lamiere colorate- usati secondo una logica neobrutalista fatta di accostamenti azzardati, spesso stridenti. L’immagine e' inconsueta: prefigura l’ High Tech e , insieme, il decostruttivismo. Del resto, per tutta la vita, Johansen sarà un precursore e un innovatore con una continua attività di ricerca che lo porterà, ai giorni nostri, a pensare a case realmente organiche che, come organismi biologici, sono in grado di apprendere dai comportamenti umani e di modificarsi conseguentemente.



1.17 Archigram: gli inizi (1961-1964)


Maggio del 1961. A cinque anni dalla mostra This is Tomorrow e nello stesso anno in cui l'inesauribile Buckminster Fuller propone di coprire il centro di New York con una immensa cupola geodetica che ne gestisca il microclima, sei giovani architetti - Warren Chalk, Peter Cook, Dennis Crompon, David Greene, Ron Herron, Mike Webb- pubblicano un foglio dal titolo Archigram. Il termine Archigram, spiegherà a distanza di tempo Peter Cook, connota un atteggiamento intransigente, laconico e dinamico. Quasi come un telegramma ( in inglese telegram) o un aerogramma (aerogram), che annuncia la nascita di un nuovo evento.

Il secondo numero di Archigram esce l'anno dopo. Ha una maggiore consistenza grafica e mostra tre progetti emblematici: una costruzione in Fiberglass (autore: Greene) che riprende le forme organiche di un apparato digerente; un complesso residenziale a Lillington Street a Londra (autori:Chalk, Crompton, Herron) dove un insieme di capsule abitative formano un cluster che circonda un grande spazio a verde puntualizzato da servizi residenziali; uno Shopping Viaduct a Nottingham (autori: Cook, Greene) dove unità abitative sono assemblate all'interno di una macrostruttura.

Un estimatore di Archigram è Theo Crosby - l'organizzatore di This is Tomorrow- che si da da fare per farli esporre nel 1963 all' Institute of Conteporary Arts. La mostra, dal titolo Living City, è divisa in sette sezioni: uomo, sopravvivenza, folla, movimento, comunicazione, posto, situazione. Chiaro, data la scelta degli argomenti, l'omaggio all'estetica neobrutalista , agli Smithson , alla Pop Art e forse anche ai nuovi fenomeni di massa di cui la ribellione giovanile e la musica dei Beatles sono i più appariscenti. Ma vi è di più: l'inizio di una ricerca che azzera le vecchie categorie architettoniche quali il brutalismo lecorbusieriano e il purismo miesiano al quale, in qualche modo, gli Smithson sono ancora legati, per cercare di prefigurare un nuovo genere di futuro.

Archigram, sin dall'inizio, è un gruppo sui generis. I sei architetti provengono da esperienze formative diverse, hanno età diverse e , di regola, non lavorano insieme. Spirito teorico e propagandista del gruppo è Peter Cook. Poeta del gruppo è Ron Herron, che indaga con ossessione maniacale le nuove tecniche, per svilupparle formalmente e scoprire inaspettate interazioni tra queste , l'uomo e l'ambiente costruito.

Di Peter Cook è il progetto Plug-in City (1964). Plug-in è un termine inglese che significa "inserire la spina", "mettere corrente". Nel nostro caso significa una macrostruttura composta da una ossatura primaria lungo la quale scorrono i sistemi infrastrutturali e le opere di urbanizzazione, e sulla quale si possono attaccare e staccare a piacimento cellule tridimensionali fabbricate industrialmente, siano queste abitazioni, spazi commerciali, attrezzature per il tempo libero. Le cellule edilizie previste sono, al pari delle automobili e di altri componenti meccanici, realizzate con materiali plastici e ferrosi e assemblate altrove secondo l’insegnamento di Buckminster Fuller (il suo bagno completamente industrializzato progettato per la Dimaxion House e'del 1937). La casa, come una lampadina, un televisore o un tostapane, potrà essere sostituita a scadenze periodiche, con una diversa e tecnologicamente più avanzata. Evidenziando e approfondendo l' analogia formale tra un sistema elettrico e la città, Plug-in City focalizza, infine, l'attenzione del progettista sui flussi di informazioni, di immagini, di prodotti che la metropoli, deve continuamente gestire e processare ( su questo tema insisterà, con un altro progetto- Computor City - Dennis Crompton).

Il progetto Capsule di Warren Chalk (1964), una struttura centrale di servizio sulla quale si agganciano a secco diversi modelli di capsule abitative, dimostra che è possibile - e , effettivamente, alcuni prototipi, come vedremo in seguito, saranno realizzati sul finire degli anni Sessanta- pensare a un nuovo modo di costruire gli edifici e , in particolare, i grattacieli.



Walking City (1964) di Ron Herron sono strutture abitative lunghe 400 metri e alte 220 e poggiate su otto gambe, che ne permettono gli spostamenti. Le immagini proposte da Herron fanno scalpore. Le enormi macchine mobili di Walking City che sbarcano davanti a Manhattan, che campeggiano nel deserto o che sbucano dal mare di fronte ad una Algeri in cui è stato realizzato il piano Obus di Le Corbusier indicano però che la ricerca architettonica non può fermarsi, limitandosi alla gestione dell'ordinario e del fattibile; e anticipano la speranza , che sarà fatto propria dagli studenti del sessantotto, che la professione possa finalmente proiettarsi verso l'utopia.

Nel 1964 il gruppo Archigram si disperde. Greene e Webb partono per andare a insegnare negli Stati Uniti, Chalk e Herron tentano l'attività privata, Crompton si impegna in un progetto governativo. Continueranno, però a lavorare insieme a numerosi progetti, amministrando e sviluppando un patrimonio di idee che hanno messo sul tappeto.





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