2.4 Radicals and Coop Himmelb(l)au
Riscoperti e apprezzati, dopo un lungo periodo di oblio, gli architetti radicali, particolarmente attivi negli anni sessanta e settanta, si impongono alla cronaca, e poiché la gran parte di loro sono ancora attivi, maturano nuove opere che mostrano affinità con le ricerche più avanzate dei giovani. Nel 1994, per esempio, Jay Chiat, titolare dello stessa agenzia pubblicitaria che ha commissionato l'edificio-binocolo di Los Angeles a Gehry, decide di ristrutturare la propria sede di New York, affidando l’incarico a Gaetano Pesce.
Il progetto di Pesce per Jay Chiat si caratterizza per un pavimento dal forte impatto iconico: resine rosse, blu e gialle delimitano i campi di un disegno a forma di volto visto di fronte e di profilo e, anche, una enorme freccia che dà la direzione d'ingresso. Poi per la scelta dei materiali: alcuni di riuso quali le videocassette sovrapposte sino a formare la parete della mediateca; altri dal forte impatto tattile, quali i feltri che rivestono i frontali dei tavoli porta-computer; altri ancora conformati in modo da suggerire immagini antropomorfe, anche inquietanti: tra queste ultime una bucatura, realizzata in materiale plastico, che ricorda le bocche delle bambole gonfiabili in vendita nei porno-shop di tutto il mondo.
Siamo sicuramente di fronte a un'opera estranea ai canoni del funzionalismo dove si respira l'aria di una recuperata innocenza, che non esita recuperare l'inutile, l’arbitrario, il gratuito anche se sulla base di un ragionamento paradossale e cioè che, in una società complessa e avanzata, l’utile e' ciò che va oltre la funzione, mentre non e' necessariamente – anzi non e' quasi mai- ciò che vi si attiene strettamente e rigorosamente. Su una posizione sostanzialmente simile troviamo Alessandro Mendini, promotore del design radicale in Italia e da sempre in posizione fortemente critica con i prodotti messi in commercio per rispondere a usi pratici ma carenti dal punto di vista evocativo e emotivo. E’ nel 1995 che Mendini completa il nuovo museo d' arte a Gronighen, Olanda. Collaborano con lui, Philippe Starck, Michele De Lucchi, Coop Himmelb(l)lau, quasi a sottolineare che per realizzare un'impresa così complessa quale una casa per le arti, non sono più sufficienti sintesi individuali. L'intera opera è sorprendentemente varia. All'esterno, la parte progettata da Mendini richiama, con le sue forme stereometriche, la metafisica italiana, però destabilizzata da un eccesso di decorazioni, alcune delle quali di sapore mediterraneo se non islamico. La struttura ideata da Coop Himmelb(l)au le si contrappone con le lame delle taglienti pareti che sembrano quasi scivolare dall'edificio e con il forte sapore decorativo di inconsueti pattern cromatici. All'interno, Stark adopera, per il padiglione delle arti decorative un linguaggio evanescente, fatto di tende trasparenti; De Lucchi utilizza, per il padiglione di archeologia e storia, segni della tradizione razionalista; Mendini lavora, nella sala per le esposizioni temporanee, con immagini connotate in senso metaforico; Coop Himmelb(l)au realizza, nel padiglione di arte antica, uno spazio meccanico e stridente.
Nel museo di Groningen i contributi dei quattro team di progettazione si sovrappongono, senza reali soluzioni di continuità, proponendo un caotico microcosmo dove convivono segni e spazi che afferiscono a culture e a tendenze estranee e incomunicabili: volumi chiusi e pareti frammentate, trasparenze e masse opache, policromie sgargianti e pallidi monocromi, materiali tradizionali e industriali, spazi caldi e avvolgenti e freddi angoscianti. Il risultato, come afferma Mendini, punta a spiazzare l’osservatore : “ to render the variety of architectural types ambiguous. In that museum every now and again you feel you are in a house, every now and again in a church, ant then every now and again you seem to be in a theatre or in an office. We tried in fact to surprise the visitor by continuing to transform the system of spatial sensations vis-à-vis the works exhibited”30.
2.5 Nouvel : trasparenza e oltre
Nel luglio del 1994 Jean Nouvel apre una nuova società, Architectures Jean Nouvel, abbandonando la precedente partnership con Emmanuel Cattani che, se era stata positiva per quantità e qualità di lavori svolti, si era rivelata finanziariamente disastrosa. Ceduta a persone più esperte la gestione economica, partecipa alla nuova società esclusivamente in qualità di direttore artistico. E può capitalizzare, in immagine, il successo di cinque importanti opere completate nel biennio 1993-1994: il complesso residenziale a Bezons, Francia (1990-1993), l’edificio dell’Opera di Lione, Francia (1986-1993), il centro Congressi a Tours, Francia (1989-1993), la Fondazione Cartier a Parigi (1991-1994), il Centro Commerciale a Lille, Francia (1991-1994). A consacrare lo status professionale raggiunto provvedono un fascicolo monografico de L’architecture d’aujourd’hui e un numero di El Croquis, usciti entrambi nel 1994. Evidenziano la capacità creativa di un architetto che e' difficilmente catalogabile all’interno di stili e tendenze e che nel centro congressi di Tour, lavora su forme fluide e precise come quelle della carrozzeria di una automobile, a Lione impone su un edificio storico in pietra una perentoria volta a botte in metallo, mentre con la Fondazione Cartier gioca sul tema della trasparenza e della leggerezza. L’edificio, di nove piani posto lungo il boulevard Raspail, e', infatti, più che una semplice scatola di vetro di sapore miesiano. E’ una composizione di schermi trasparenti e riflettenti che dematerializzano la costruzione. Alcune facciate vetrate sono prolungate di circa dieci metri oltre il volume dell’edificio, trasformandosi in quinte trasparenti attraverso le quali si intravede la natura circostante. A confondere ulteriormente la percezione del visitatore contribuisce il muro di cinta, una parete, sempre in vetro alta 18 metri. Il risultato ricorda le installazioni dell’artista americano Dan Graham: uno spazio infinito che sembra privo di solidità e materialità.
Nouvel si allontana così dall’ estetica funzionalista – che troverebbe inconcepibile tanto spreco di materiale- per una poetica della apparenza: fatta di pura contestualità dove l’identità dell’edificio e' data, più che da stabili relazioni formali, da quelle – sempre variabili- del cielo, degli alberi, delle condizioni metereologiche e anche del traffico cittadino.
A sottolineare l’interesse che, in questi anni, Nouvel nutre per le tendenze minimaliste e' anche la collezione di mobili da lui appositamente disegnata per la Fondazione Cartier, prodotta dalla Unifor ed emblematicamente lanciata con il nome Less. Ma che l’omaggio a Mies van der Rohe e al minimalismo sia più di forma che di sostanza lo si vede dal fatto che la riduzione non porta affatto, come avviene con il maestro tedesco, a una chiarificazione della struttura dell’oggetto ma piuttosto a una poetica dell’evanescenza. Lo si vede, per esempio, dal fatto che il tavolo – sicuramente il pezzo forte della collezione- è talmente sottile da scomparire. Nello stesso tempo, per esempio con i contenitori girevoli Nouvel guarda ad altre suggestioni, come i mobili “mobili” di Pierre Chareau. Lo stesso si può dire per la ricerca architettonica. Nel 1993 mette in cantiere due progetti che sondano nuove poetiche. Sono la Città giudiziaria di Nantes, Francia, e il Centro Culturale di Lucerna (KKL). Di quest’ultimo, che e' il suo capolavoro, ne parleremo nel capitolo successivo.
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