2.2 Le Corbusier e il brutalismo
E’ tra il 1944 e il 1945 che Le Corbusier elabora la teoria dei tre insediamenti umani. Consiste in un ennesimo tentativo di stabilire i canoni di una città ideale, resa ancora più necessaria dallo stato della gran parte delle città europee, distrutte parzialmente o totalmente a seguito dei bombardamenti. Coerentemente con gli assunti della carta di Atene, le Corbusier ipotizza una rigida separazione delle funzioni: una città agricola, una città industriale ad andamento lineare, e una città degli scambi con forma radiocentrica.
Pensata come una tessera della città ideale e' l’Unità di abitazione, che negli stessi anni (1945-1950) ha modo di realizzare a Marsiglia. Si tratta di un gigantesco edificio di diciotto piani di altezza che ospita 337 appartamenti di 23 tipi, destinati ai diversi tipi di famiglia: dallo scapolo alla coppia senza figli sino a nuclei che hanno da 3 a 8 bambini. All’interno dell’edificio - che e' pensato come una unità parzialmente autosufficiente: un villaggio o, se vogliamo, un moderno Falansterio- sono previsti alcuni servizi residenziali: sono i piccoli negozi di generi alimentari e di prima necessità e l’albergo che si trovano ai livelli 7 e 8 e le attrezzature sportive, tra le quali una piccola piscina e una pista di trecento metri, ubicate nel tetto-giardino. L’idea e' di ottenere una città compatta ma, allo stesso tempo, circondata dal verde, attraverso l’accostamento di numerosi di questi moduli. Il nemico dichiarato e' lo sprawl urbano delle ville e villette che distruggono il territorio parcellizzandolo in una miriade di piccoli lotti.
Realizzata in beton brut, cioè in cemento armato a faccia vista, l’unità di Marsiglia e' anche un manifesto teorico della nuova architettura, un aggiornamento dei 5 punti che Le Corbusier aveva messo a punto nella metà degli anni venti. L’edificio e' infatti su pilastri, ha una facciata libera, e' completamente traforato e quindi riprende aggiornandolo il tema delle finestre a nastro, ha una pianta libera e, infine, ricorre al tetto-giardino. Vi è però, rispetto ai tempi del purismo, la novità della scelta di un materiale dal forte impatto materico, trattato per di più in maniera decisamente plastica, come testimoniano i robusti pilastri al piano terreno e la modanatura che raccorda il soffitto al corpo superiore, gli scultorei camini del tetto e il trattamento fortemente chiaroscurale del volume della facciata ottenuto attraverso la sequenza dei vuoti delle logge degli appartamenti.
Per attenuare l’impatto che un così forte gioco della materia avrebbe potuto provocare, Le Corbusier ricorre a due espedienti: un rigido sistema di proporzioni fondato sulla sezione aurea e sulle misure di un uomo ideale - e' il così detto modulor- e l’uso di colori primari all’interno delle logge. Infine non disdegna – lo si vede particolarmente nel tetto- di ricorrere a forme intriganti, quasi oggetti a reazione poetica, contemperando in questo modo i due lati della propria natura: quello razionale teso alla standardizzazione, al metodo, alla dimostrazione cartesiana e quello irrazionale, aperto ai valori dell’arte e dell’ineffabile.
E’ nella chiesa a Notre Dame-du-Haut, a Ronchamp, realizzata tra il 1950 e il 1955 che Le Corbusier sembra abbandonare le esigenze di una rigida razionalità per proiettarsi tutto verso la dimensione poetica. Abbandonati i cinque punti, realizza una costruzione in cui sembrano predominare la bianca muratura delle pareti e una copertura in cemento dal forte effetto plastico. All’interno l’edificio e' giocato sul contrasto tra la penombra e la luce colorata sparata da finestrelle strombate -i canons à lumière -collocate in maniera strategica lungo una parete insolitamente spessa. Ottiene così un effetto fortemente scenografico rafforzato da un raffinato gioco strutturale: l’edificio, infatti, pur sembrando realizzato in muratura portante e' in realtà vertebrato da pilastri nascosti nelle murature. Sono questi a sostenere la copertura, come Le Corbusier mostra staccandola leggermente dalla sottostante muratura e determinando un’ennesima fessura attraverso la quale filtra la luce.
Oggetto difficilmente catalogabile in base alle consuete categorie architettoniche, la chiesa di Ronchamp e' in realtà un organismo abbastanza semplice, scolpito attraverso tre gesti, come si può vedere osservando attentamente la pianta. Il primo e' il segno secco e deciso, quasi una sciabolata,del muro che ospita i canons à lumière. Il secondo e' la spezzata che lega il muro dell’altare con il laterale, quest’ultimo chiuso da una curva che definisce all’interno l’area riservata al confessionale. Con la sua forma angolare delimita uno spazio statico che si contrappone a quello più dinamico al fine di raccogliere al suo interno l’altare. Il terzo e' la curva che termina ad una estremità racchiudendo la fonte battesimale e, all’altra estremità, un altro confessionale: completa la chiesa, con la precarietà dinamica di un elastico teso. E’ attraverso l’energia di questi tre gesti che l’interno trapela all’esterno e viceversa mentre, grazie alle curvature imposte ai muri, le pareti assumono consistenza geometrica, diventando superfici plastiche. Ma affidarsi alla poetica del gesto, come interpretano molti commentatori, e' assumere un atteggiamento arbitrario dove l’ energia vitale predomina sul metodo; da qui le numerose critiche e l’accusa di molti compagni di viaggio, di tradimento dei valori del Movimento Moderno. E, in effetti, con Rochamp una nuova pagina si apre: lo capiranno i protagonisti del Team 10, che, come vedremo, orienteranno la ricerca architettonica verso nuove prospettive.
Sempre nel 1950 Le Corbusier riceve l’incarico per progettare la città di Chandigarh, la nuova capitale del Punjab resasi necessaria a seguito dell’ottenimento dell’indipendenza della nazione indiana e della conseguente divisione tra l’India e il Pakistan con l’assegnazione della vecchia capitale, Lahore, a quest’ultimo stato. Le Corbusier si trova subito in sintonia con Nehru, il primo ministro indiano, nel pensare a una città degna della nuova nazione in grado di unire sia gli aspetti positivi delle città occidentali sia lo spirito di quelle orientali; una città quindi diversa da quella che avrebbe voluto Gandhi, meno monumentale e più aderente allo spirito agricolo e agli aspetti tradizionali della società contadina indiana. E, in effetti, il progetto per la nuova città, che prevede una popolazione di 500.000 abitanti, sembra, per molti versi, ripreso dallo schema elaborato per la Ville radieuse. E’ caratterizzato dalla zona del Campidoglio, posta al vertice dell’insediamento e da una maglia ortogonale di blocchi di 1200x800 metri vertebrati da un sistema stradale minuziosamente organizzato in sette tipologie viarie che vanno dall’autostrada ai percorsi pedonali che arrivano in prossimità delle abitazioni. A separare i blocchi provvedono quinte di alberi che danno al visitatore la sensazione di trovarsi in un grande spazio verde piuttosto che all’interno di una moderna realtà urbana.
Attento alla dimensione monumentale e celebrativa, Le Corbusier dedica massima attenzione agli edifici del Campidoglio: la Corte di giustizia (1951-1955), il Palazzo dell’assemblea (1953-1961) e il Segretariato (1951-58). Realizzati in cemento armato a faccia vista continuano la ricerca brutalista iniziata con l’Unità di abitazione: quindi ricerca di effetti plastici, poetica del chiaroscuro, volumi geometrici elementari e oggetti a reazione poetica. Vi e' però in più una ricerca di forme adeguate al torrido clima locale. Così la Corte di giustizia e' composta da due corpi edilizi: quello delle aule e un portale gigantesco che lo involucra proteggendolo dai raggi diretti del sole; il Palazzo dell’assemblea e' segnato da un volume cilindrico che sormonta l’aula dell’assemblea fungendo da torre di refrigerazione; tutti i palazzi sono dotati di generosi brise-soleil che impediscono l’insolazione diretta. E’ appena il caso di notare che questi accorgimenti si risolvono in pretesti formali, in occasioni per mettere a punto una concezione dell’architettura definita come un gioco sapiente di volumi sotto la luce, mentre meno rilevanti sono i benefici funzionali, come testimonia la stessa scelta del cemento armato, un materiale poco idoneo a confrontarsi con il clima locale. Così come del resto poco oggi resta della complessa simbologia – in parte ripresa dalla tradizione indiana, in parte dall’immaginario panteista dell’architetto- sulla quale Le Corbusier ha impostato il programma urbanistico ed edilizio. Resta il fatto, però, che Chandigarh, nonostante le sue pecche evidenti, proprie del resto di ogni città di nuova fondazione, ha assorbito in maniera soddisfacente un aumento di abitanti non previsto e tra le varie città indiane, spesso ridotte ad essere un ammasso di tuguri, rappresenta un possibile modello insediativo.
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