Sei sono, secondo il critico Catherine Slessor, gli aspetti che caratterizzano l’ Eco Tech36. Vi è innanzi tutto il disegno di strutture espressive dovuto all’influsso di consultans di genio come Peter Rice della Ove Arup o di ingegneri architetti come Santiago Calatrava i quali non esitano ad abbandonare la freddezza dell’High Tech per rifarsi a principi più complessi, anche organici. Vi è, poi, la volontà di modellare lo spazio con la luce e di giocare con la trasparenza grazie alle innovazioni consentite dalla tecnologia del vetro ( grandi lastre, vetro strutturale ecc…). Un terzo aspetto consiste nella maggiore consapevolezza energetica attraverso l’uso di nuovi materiali e prodotti e l’uso di fonti energetiche naturali e rinnovabili. Quarta caratteristica è l’attenzione al contesto, per ottenere che gli edifici siano invitanti luoghi di aggregazione urbana ed evitare di farli apparire come oggetti estranei all’ambiente. Vi è, inoltre, l’attenzione alle interconnessioni, con le reti di traffico e i sistemi che gestiscono i flussi dedicati allo scambio delle informazioni. Infine si tenta di trasformare gli edifici in simboli apprezzati dalla collettività, monumenti non retorici ma pensati alla scala urbana come pubblici landmark.
Nel 1993 il governo di John Major autorizza l’estensione della Jubilee line, la infrastruttura metropolitana che collega il centro di Londra con i Docklands. A occuparsi delle stazioni (1990-2000): Michael Hopkins (Westminster), Ian Ritchie Architects (Jamaica Road), Norman Foster (Canary Warf) , Will Alsop (North Greenwich), Mac Cormac, Jamieson, Prichard37 (Southwark).
Sempre al 1993 risale un’altra importante infrastruttura: il Waterloo International Terminal, progettato da Nicholas Grimshaw come terminale della linea veloce ferroviaria che a partire dal 1994, attraverso l’Eurotunnel, lega Londra a Parigi.
A Bristol Grimshaw nel 1994 inaugura il Regional Control Centre un edificio dalla studiata eleganza.
Negli stessi anni Foster completa il Carré d’art a Nimes (1984-93), la facoltà di legge a Cambridge (1990-95), il Microelectronics Park a Duisburg (1988-96) opere tutte caratterizzate dalla volontà di trovare una misura classica, mentre più tardi lo stesso autore –forse influenzato dall’estetica neobarocca digitale- si farà tentare dalle curve.
Di Rogers sono la sede di Channel Four a Londra (1990-94) e l’European Court of Human Rights (1989-95), segnati da forme più fedeli all’originario linguaggio dell’hight tech fatto di impianti a vista, ferro e vetro.
Nel 1993 Will Alsop completa l’Hôtel de Department des Bouches-du-Rhône, noto come la Grand Bleu, un’opera che, memore della lezione di Cedric Pricem, declina la tecnologia in una direzione fantasiosa e a tratti giocosa, non priva di valenze pop.
Un sempre più esibito compiacimento strutturale si riscontra nelle strutture neo-organiche di Santiago Calatrava. Tra le realizzazioni più significative di questi anni, il BCE Place Gallery a Toronto (1987-93), il progetto per la cupola del Reichstag apribile in 4 spicchi a Berlino (1995), la stazione TGV di Lione (1989-94)dall’inquietante aspetto organico. Più essenziali ed eleganti i suoi ponti, quale quello della Trinità a Salford (1993-95) sorretto da un unico pilone inclinato e da sottili cavi metallici.
Tra le importanti opere del decennio, anche se solo in parte ascrivibile all’ High Tech, e' il Tokyo International forum a Tokyo (1989-1996) di Rafael Vignoly: un centro espositivo e congressuale imponente – tanto da essere diventato in breve tempo un landmark urbano- caratterizzato da una gigantesca e scenografica piazza con copertura vetrata sorretta da travi fusiformi.
2.12 Renzo Piano’s Soft-Tech
Nel 1997 il centro Pompidou, a venti anni dalla sua inaugurazione, è chiuso per lavori a causa di un collasso determinato dal suo stesso successo: cioè dall'afflusso di oltre 25.000 visitatori al giorno contro i 5.000 previsti. Il progetto prevede una ristrutturazione delle parti degradate e un ampliamento dei 70.000 mq. esistenti con altri 8.000 mq. destinati alle attività culturali e di servizio. Piano, che oramai considera con distacco l’esperienza High Tech, interviene con un disegno che non esita a mettere in discussione alcuni presupposti ideologici del vecchio edificio: trasforma la grande hall posta al piano terreno, originariamente pensata come una grande piazza al coperto, in un elegante spazio commerciale; esclude le scale mobili di facciata dal servire i primi due piani; limita l’accesso alle terrazze, ora consentito solo al pubblico pagante; compromette la flessibilità degli spazi interni con la presenza dei nuovi ascensori. Vanifica, insomma, due concetti guida che informarono la filosofia dell'edificio, progettato nel 1971 insieme con Richard Rogers e Gianfranco Franchini: la completa permeabilità al pubblico e l’illimitata trasformabilità.
Del resto i messaggi che oramai escono dallo studio dell’architetto genovese sono sempre più rassicuranti. Con la realizzazione dell’aeroporto di Kansai in Giappone (1988-94), che probabilmente è il capolavoro dell’architetto, Piano e' definitivamente assurto nel firmamento dello Star System ed e' in procinto di ottenere incarichi da parte di importanti commettenti attratti da una ricerca innovativa ma non radicale, attenta al confort psicologico degli utenti, alla natura e anche alle tecnologie tradizionali. E’ caratterizzato all’esterno da una copertura di notevole eleganza, curvata verso entrambi le direzioni nei cui spazi interni vengono recuperati i colori della tradizione giapponese. Mentre nel museo della fondazione Beyeler a Basilea, Svizzera (1991-1997) il contrasto tra le due diverse tecnologie, una pesante e materica dei muri in pietra e l’altra aerea e leggera del lucernario vetrato, viene attenuato dalla brillante idea di inserire uno smaterializzante specchio d’acqua abitato da ninfee nonché dalla scomposizione del volume in piani. Inoltre al dinamismo suggerito dalla copertura aggettante si contrappongono all’interno stanze squadrate che permettono una ordinata distribuzione delle opere d’arte.
Sulla stessa linea i lavori successivi. Quali, per esempio, il Jean-Marie Tjibaou Cultural Center a Noumea in Nuova Caledonia (1991-98) e l’intervento urbano a Potsdammer Platz a Berino (1992-2000). Il centro, che e' dedicato alla cultura Kanak, si caratterizza per la felice invenzione di absidi in legno che ricordano le antiche capanne locali, vibrano grazie al vento e servono a integrare l’edificio nel contesto naturale circostante. Purtroppo, rispetto al disgeno originario che prevedeva uno spazio interno articolato intorno a cluster di capanne, viene realizzato un progetto a piastra molto più banale anche se ineccepibile. Mentre a Potsdammer Platz Piano riesce a ricostruire un frammento di città europea con i suoi spazi urbani caratteristici, evitando sia il rigorismo eccessivo della vicina lottizzazione progettata dall’italiano Giorgio Grassi sia il caos un po’ da centro commerciale dell’intervento ideato da Helmut Jahn per l’adiacente Sony Center. E ha il merito di riuscire a mantenere unità di insieme a un complesso che, oltre ai blocchi disegnati dallo stesso Piano, contiene edifici firmati da progettisti così diversi come Richard Rogers, Rafael Moneo, Hans Kollhoff, Arata Isozaki.
Share with your friends: |