La Storia dell’architettura 1905-2008 Di Luigi Prestinenza Puglisi


Parte 4 capitolo 2: Nuove direzioni: 1993-1997



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Parte 4 capitolo 2: Nuove direzioni: 1993-1997




2.1 La svolta del 1993


Nel 1993 il decostruttivismo entra in crisi. A liquidarlo e' un fascicolo monografico della rivista Architectural Design, Folding in Architecture, guest edited da Greg Lynn. “ Deconstruction has done is job” dichiara, nell’introduzione, Kenneth Powell20. E con lui concordano gli altri critici chiamati a partecipare alla redazione del numero.

A segnare la svolta sono i cambiamenti che si registrano nel campo degli interessi filosofici. Derrida e' oramai passato di moda. Si scoprono altre teorie filosofiche: le pieghe di Deleuze, la morfogenesi di René Thom, le scienze della complessità propugnate dai teorici del the Santa Fe Institute. Inoltre, assistiamo a un cambiamento del gusto che induce a superare la frammentazione, gli angoli acuti e le linee spezzate per estetiche che puntano al tema della continuità attraverso il ritorno della linea curva ripresa, secondo l’insegnamento di Deleuze, dal barocco. Quindi non la figura ideale del cerchio, amata per la sua perfetta semplicità dai trattatisti rinascimentali, ma le morbide e avvolgenti pieghe dei panneggi delle statue e gli avvitamenti spaziali delle architetture del seicento. Sono questi, infatti, i riferimenti più appropriati per una cultura che ama giocare con i temi della complessità, dell’ineffabile, della dialettica tra caos e ordine. Afferma Greg Lynn:“ For the first time perhaps, complexity might be aligned with neither unity nor contradiction but with smooth, pliant mixture” e, più oltre: “Where Deconstructivist Architecture was seen to exploit external forces in the familiar name of contradiction and conflict, recent pliant projects by many of those architects exhibit a more fluid logic of connectivity21.

Due sono gli architetti, riconosciuti come precursori della nuova tendenza: Frank Gehry e Peter Eisenman.

Del primo viene apprezzato il museo Vitra a Weil am Rhein, completato nel 1989. Del secondo il progetto per il Rebstock Park, del 1990-1991.Entrambi fanno ampio uso delle linee curve. Il primo per giungere ad una concezione scultorea, in cui l’oggetto, pur richiamandosi alle forme del paesaggio, se ne stacca decisamente. Il secondo per immergersi nella natura, attivando una relazione più empatica e meno aggressiva. Entrambi le strade saranno battute dalle sperimentazioni successive: la prima porterà ad edifici fortemente caratterizzati dal punto di vista plastico, la seconda alla landscape architecture.

In ogni caso, per procedere, si abbandonano i vecchi metodi di progettazione basati sul disegno manuale per affidarsi a quello informatizzato del calcolatore. A rendere necessarie le nuove tecniche e' la complessità delle configurazioni spaziali ottenute ricorrendo al folding nonché il bisogno di abbandonare l’empirismo che in altri periodi storici, e in particolare negli anni sessanta, avevano caratterizzato le ricerche sulle forme morbide e avvolgenti. Ciò e' reso oltretutto possibile da un mercato che anno dopo anno propone computer più potenti a costi ridotti e alla parallela diffusione di software sempre più sofisticati, in grado di gestire la manipolazione tridimensionale di superfici e volumi complessi22.

A favorire la nascita di una nuova generazione di progettisti nati con il computer23 provvederà, infine, un’iniziativa presto emulata da altre università: Bernard Tschumi , dal 1988 preside della Columbia University’s Graduate School of Architecture, Planning, and Preservation di New York, nel 1994 introdurrà i primi “paperless design studios” affidandone l’insegnamento a Greg Lynn, Hany Rashid e Scott Marble.

Contribuiranno a diffondere, soprattutto tra i giovani architetti, quella che Jeffrey Kipnis in uno dei saggi apparsi nel numero di AD del 1993, ha battezzato come architettura della DeFormazione. Si affianca ad altre sperimentazioni precedenti anch’esse stimolate dalla riflessione sulle nuove tecnologie. Sono quelle che ipotizzano un’architettura leggera e trasparente che progetta la propria scomparsa. Quelle che puntano a trasformare le facciate degli edifici in schermi su cui si proiettano fatti ed eventi. Quelle che progettano architetture che mutano con il variare dei flussi comunicativi.

A queste direzioni di ricerca, occorre affiancarne una ultima, che si svilupperà nella seconda metà degli anni novanta, generata dai sempre più complessi modelli virtuali gestiti dai computer. Consiste nell’ideare e realizzare simulazioni digitali di spazi particolarmente complessi e a più dimensioni. Come nel caso della Transarchitettura di Marcos Novak, proiettata a scoprire nuovi territori del nostro cervello. O nei lavori di Diller + Scofidio e degli stessi Asymptote che immettono frammenti di virtualità all’interno della realtà di tutti i giorni: per esempio, inserendo telecamere collegate a monitor che fanno vedere oltre lo spazio fisico concessoci dall’architettura o proiettando grafici sul pavimento che rendono immediatamente percepibile in forma tridimensionale dati e informazioni relativi al luogo.


2.2 Edifici esplosivi


Completata nel 1994 la Vitra Fire Station a Weil am Rhein in Germania di Zaha Hadid riscuote un coro pressoché unanime di consensi. Joseph Giovannini su Architetture scrive: " This building tricks the eye and body into feeling sensations of Einsteinian speed"24. Ziva Freiman su Progressive Architecture: "the ostensibly dynamic building, executed as it is with great precision, inspires rather restful contemplation"25. Michael Mönninger su Domus ne parla come di una delle pietre miliari della storia dell'architettura26.

L'incarico nasce da una serie di coincidenze. Rolf Fehlbaum, il direttore della Vitra, a seguito di un servizio apparso su Vogue, contatta la Hadid per realizzare dei mobili. Da qui un suo viaggio a Londra a visitare lo studio dell'architetto, ricambiato da una visita di quest' ultima in Svizzera. Dopo qualche mese arriva la proposta di realizzare un piccolo edificio di 800 mq. su due piani per ospitare cinque automezzi e un massimo di 24 pompieri che devono vigilare sulle attrezzature produttive e i depositi dei mobili della Vitra, altamente infiammabili. Nato per scopi utilitari, quale appunto la prevenzione antincendio, sarebbe occasionalmente servito anche come locale per attività espositive, di promozione e di incontro.

Obiettivo: realizzare un edificio di notevole valore architettonico che avrebbe affiancato la fabbrica progettata da Nicholsas Grimshaw e il museo di Frank O. Gehry , in corso di costruzione ( gli edifici di Alvaro Siza e Tadao Ando sono successivi).

Eseguita in cemento armato e costata 2.6 milioni di marchi, la stazione, sebbene non rappresenti nulla di particolare, può essere paragonata agli aerei starfighter, ai motoscafi, a un ponte sul punto di crollare, a una astronave in procinto di esplodere. Ma l'immagine più convincente la suggerisce la Hadid: è una struttura che vibra come la campana di allarme dei vigili, nel momento in cui entra in funzione . “ The whole building is frozen motion, suspending the tension of alertness, ready to explode at any moment”27.

Completamente dissimile dal Moonsoon restaurant, tanto da sembrare disegnata da un'altra mano, la stazione Vitra, in realtà presenta una medesima sensibilità scenica, anche se questa volta proiettata verso l'organizzazione degli spazi esterni. L'edificio, infatti, funge insieme da recinto verso l'esterno e da quinta rispetto alla viabilità interna che riorganizza attraverso disallineamenti e cambi di prospettiva.

Vi è, inoltre, una medesima logica fondata sull' evidenziazione dell'incontro-scontro di principi opposti.

Innanzitutto tra l' unità della composizione e la molteplicità degli elementi costitutivi; ciascuno dei quali è evidenziato e trattato con cura specifica. Spiccano, in particolare, tre elementi longitudinali che sembrano essere originati dalla vibrazione- verso destra, verso sinistra e verso l'alto- di un unica massa lineare e la tettoia che riorizzontalizza la composizione, bloccandone il movimento ascendente ma aprendo l'intera costruzione verso ulteriori direzioni.

La seconda opposizione è tra volume e piano. L' edificio é più che una composizione di linee; è un gioco di volumi che si intersecano l'uno con l'altro. Ma i volumi, se si osserva bene, sono ottenuti dalla piegatura di piani, che per quanto ammorsati, piegati e tormentati, non perdono mai le loro caratteristiche planari, cioè, in ultima istanza, il loro dinamismo.

La terza opposizione è tra pesantezza del cemento armato, grave, materico, scultoreo e la leggerezza di un'energia immateriale, resa possibile proprio a partire dalla caratteristica fondamentale del calcestruzzo che è quella di eliminare le duplicazioni tra struttura e rivestimento, e quindi di attivare una poetica della sottrazione, in cui i segni siano ridotti alla loro pura essenzialità con conseguente scarnificazione dei volumi trasformati in pure linee forza.

Nel 1995 Zaha Hadid, anche grazie al successo della Stazione dei pompieri, e' già una star. Tra i progetti di questo periodo e' particolarmente interessante quello per la riqualificazione di una delle aere più pregiate e frequentate di New York, in prossimità di Times Square, tra la 8th Avenue e la 42th Street: previste nei due isolati altrettante piastre commerciali sormontate rispettivamente da un grattacielo di 22 piani e uno di 45. Il più basso è caratterizzato da un involucro semplice, quasi elementare, e si inserisce, come elemento di ordine, all'interno del contesto urbano. Il più alto ha , invece, una forma frammentata, data dall'alternarsi di pareti vetrate e pareti opache su cui possono inserirsi i luminosissimi schermi e cartelloni pubblicitari che caratterizzano Times Square. Le pareti vetrate caratterizzano le funzioni residenziali, le opache individuano gli spazi di servizio gestibili anche con la luce artificiale quali le aule per conferenze, le sale per banchetti, la palestra, la piscina.

La frammentazione in blocchi dell'edificio, oltre a permettere l’ alternarsi di vetri e insegne pubblicitarie, si riflette nel vertiginoso atrio interno a tutta altezza. Su questo affacciano, in un disordine controllato, spazi privati e pubblici ricreando così all'interno dell'edificio la vitalità dei flussi di persone e attività che, all'esterno, caratterizza l'ambiente urbano newyorkese.

La medesima strategia adoperata per 42nd Street Hotel, di scomposizione della forma in unità elementari e, poi, ricomposizione in un nuovo organismo tipologicamente innovativo, la Hadid la applica nel progetto per la Boilerhouse Extension del Victoria and Albert Museum (1996) e, poi, nel progetto per il Contemporary Arts Centre a Cincinnati che sarà realizzato e inaugurato nel 2003. Con la differenza che in questi lavori le unità elementari vengono assimilate ai pixel, cioè a quei minuti frammenti di luce che componendosi e ricomponendosi permettono agli schermi dei televisori e di produrre un interrotto flusso di immagini che completano uno spazio architettonico, caratterizzato dalla flessibile e ampia piazza coperta che accoglie i visitatori (urban carpet), dalla varietà degli spazi espositivi sospesi in aria, in modo da offrire, con i loro strani incastri, inusitate prospettive (jigsaw puzzle) e un doppio sistema di facciate che realizza uno strato-cuscinetto tra interno e esterno che può avere insieme il valore di membrana, di interfaccia, ma anche di forma in sé e per sé autonoma (skin/sculpture).

L' Habitable Bridge sul Tamigi a Londra (1996), infine, trasforma la tipologia del ponte in un doppio sistema di linee forza, concretizzate da cluster di elementi longilinei posti sui due versanti del fiume. Questi, ospitando attività commerciali e culturali, generano tra di loro una intensa attrazione che mette in collegamento fisico e ideale le due parti di città altrimenti separate. Nello stesso tempo i percorsi, disposti su varie quote e orientati secondo mutevoli direzioni, offrono nuove aperture allo spazio naturale e allo skyline artificiale



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